domenica 10 giugno 2012

Le verità scomode sugli Alleati - Su il "Roma" recensione dell'ultimo libro di Gigi di Fiore


Il velo è strappato. Stavolta, però, è diverso. Lo squarcio è grande. Chiunque può infilarci la testa e guardare - finalmente - cosa si nasconde dall’altra parte. Nomi, date, luoghi, circostanze. E storie. Soprattutto storie. Quelle cancellate da un’oleografia sulla Seconda guerra mondiale troppe volte spacciata per verità rivelata; quelle negate al barbaro grido di Brenno “guai ai vinti”; quelle sottratte all’ipocrisia e alla falsità di chi, diviso il mondo in buoni e cattivi, ha condannato all’oblio decine di migliaia di vittime e loro carnefici. Storie di italiani offesi, violati e uccisi che adesso rivivono, raccolte tutte insieme, sistematizzate nei loro drammi e miserie, nelle pagine dense e a tratti struggenti di Gigi Di Fiore, inviato de “Il Mattino”, che ha scritto una “Controstoria della Liberazione. Le stragi e i crimini dimenticati degli Alleati nell’Italia del sud” (Rizzoli), destinata a far discutere. Di Fiore non teme le ombre. Anzi, le descrive minuziosamente, scoprendo il volto nero degli angloamericani sotto la maschera dei liberatori: occupanti e conquistatori. Protagonisti di crimini efferati. Dall’alleanza con la mafia in Sicilia alle fucilazioni a sangue freddo di soldati italiani arresisi; dai campi di concentramento allestiti dagli Alleati alle umiliazioni patite dai nostri soldati che, schieratisi al fianco dei vecchi nemici, furono considerati combattenti di serie B; dai bombardamenti indiscriminati sulle città del Sud ad armistizio firmato che provocarono stragi di innocenti alle donne stuprate: le tristemente note “marocchinate”, prede di guerra dei soldati “liberatori”. E poi Napoli, la sua miseria, la sua borsa nera, la città stracciona con madri e figlie che si danno per fame, la camorra in affari con i nuovi padroni: gli angloamericani, ultimi di una lunga serie. Finanche Pietro Secchia, importante dirigente del Pci, descrisse così le condizioni della città: «Si vedeva abbastanza evidente che questo popolo era sceso al gradino infimo della propria dignità. Nessuna meraviglia quindi ne sortiva quando veniva fermato un soldato angloamericano e richiesto di procurargli vino e signorine». La Patria era morta davvero. E lo era ancora di più in quel Mezzogiorno che già ottantatré anni prima aveva dovuto subire altre angherie, altre violenze, altre invasioni. Risorgimentali le prime, “liberatrici” le seconde. Un Mezzogiorno «dove i liberati - scrive Di Fiore - furono violati dai liberatori, in una mistificazione dei ruoli tra aguzzini santificati e vittime zittite». L’autore non dimentica la crudeltà, le condizioni orrende, i soprusi subiti dagli italiani, civili e militari, che dissero no ai nemici diventati alleati in una notte di settembre e per questo si ritrovarono nei campi di Padula, Afragola, Aversa, Taranto, Coltano e altri ancora. Gli “inferni neri”, dove civili e sacerdoti, ex politici e burocrati fascisti, funzionari e semplici soldati della Rsi intrecciarono le loro vicende, miserie umane e piccoli eroismi. Emergono così, tra tante, le figure dell’armatore napoletano Achille Lauro o di Ezio Garibaldi, nipote di Giuseppe, o ancora dello scrittore Ardengo Soffici. Ad Afragola, ricorda Di Fiore, i carcerieri inglesi «saltavano la distribuzione dei pasti o ricorrevano a percosse improvvise. Metodi spicci per tenere soggiogati i detenuti e costringerli ad ammettere colpe tutte da dimostrare ». Sistemi che ricordavano le tristi pratiche dell’estorsione delle confessioni tanto in voga nella polizia politica sovietica. Di Fiore riannoda i fili di una storia spezzata, tirandola fuori da quell’“armadio della vergogna” nel quale era stata confinata senza pietà dai celebranti di un’ortodossia che non ammetteva eresie. Il merito di questa “Controstoria della Liberazione” è proprio quello di far emergere dalle viscere del nostro Meridione violentato la verità di fatti che hanno profondamente segnato le popolazioni; le storie di decine di migliaia di famiglie che, dopo aver subito la violenza, sono state costrette al silenzio dalla paura, dalla vergogna e dalla ragion di Stato del secondo dopoguerra. Il calvario di una Nazione nella polvere, lacerata tra due eserciti occupanti. Ricordare è un dovere. Perché l’infamia di chi fu padrone in casa d’altri non cada in prescrizione. Fonte: Roma del 4 maggio pag.11 Di Vincenzo Nardiello