" La Storia E' Politica Sperimentele" (J. de Maistre)
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martedì 30 novembre 2010
La storia maestra di vita: raccontiamola giusta
grazie
Paolo GRANZOTTO
La storia maestra di vita: raccontiamola giusta
tratto da: Il Giornale, 13.07.2004.
Sempre più di frequente compaiono su questa pagina lettere di lettori revisionisti, mi riferisco ad esempio a quella di Amedeo Montemagni o di Francesco Agnoli, senza contare che lei, dottor Granzotto, fa da sempre del revisionismo sul Risorgimento, la Repubblica partenopea, il Brigantaggio eccetera. Cos'è, "il Giornale" si pone come l'avanguardia di una nuova tendenza storiografica? E pensate di avere un seguito?
Tommaso Rivolta Milano
Non dimentichi, caro Rivolta, che "il Giornale" è stato fondato da un revisionista massimo, Indro Montanelli, incessantemente attaccato dalla congregazione degli storici in quanto, appunto, revisionista e, peccato ancor più grave, non appartenente alla congregazione medesima. Però non creda, lungi dall'essere una privativa del "Giornale" il revisionismo è un orientamento universale e avvertibile un po' ovunque si parli e si scriva di storia e il sistematico smantellamento, picconata dopo picconata, delle varie "vulgate" manda letteralmente fuori dai gangheri coloro i quali, chissà perché, si sono eletti a sacerdoti della Storia, gli unici ad avere il diritto di maneggiarla e di riferirne. Sono in larghissima parte gli accademici, autori di testi scritti con linguaggio da iniziati e disseminati di quelle che Benedetto Croce chiamava «cacchette di mosche», le note. Le quali vengono difese a spada tratta rappresentando, dicono, la «traccia» - un po' come i sassolini di Pollicino, per intenderci - che lascia uno storico vero, uno storico a denominazione di origine controllata. Per dirla in parole povere, la congregazione scrive per i propri membri rifiutando l'idea di trasmettere al lettore comune la sua presunta scienza che deve invece restare una faccenda esoterica, per pochi intimi. Guai, quindi, se un laico s'azzarda a scrivere di storia. Doppi guai se scrivendone si mette a fare del revisionismo contestando quella che per loro è, semplicemente, verità di fede. Mi dica lei, caro Rivolta, se è il modo di ragionare.
Noi siamo un po' provinciali e riteniamo che il revisionismo si riferisca esclusivamente a cose come la Resistenza o il Brigantaggio, ma non è così. La necessità di riesaminare una storia scritta massimamante sotto l'influenza della Rivoluzione francese e da allora considerata «canonica» (o una storia, per restare a casa nostra, scritta dagli storici risorgimentali e quindi tendente a magnificare una causa criminalizzando chi vi si oppose) è sentita ovunque, in America come in Francia, in Germania come in Ispagna. Perfino uno dei dogmi più rispettati, il Medioevo quale epoca di prevaricazione, violenza e sopruso, è stato passato al vaglio dell'analisi revisionista. Un recente libro di Susan Reynolds, professore emerito a Oxford, "Feudi e Vassalli" (che oltre a essere monumentale è anche di faticosa lettura, tuttavia così interessante da indurmi a stringere i denti e proseguire), ridimensiona fortemente l'idea elaborata nel diciottesimo e diciannovesimo secolo di un Medioevo dominato da baroni e cavalieri turbolenti che si facevano la guerra e tiranneggiavano dai loro castelli contadini disgraziati. Una visione, sostiene Reynolds, «associata ai miti delle origini nazionali, in conseguenza delle invasioni barbariche, per creare un paradigma talmente affascinante, flessibile e avvincente, da essere in grado di assorbire secoli di revisioni, adattamenti ed elaborazioni, senza perdere la propria fisionomia». Un mito, insomma, che apparendo logico ha distorto la visione storica di quell'evo alimentando - basti pensare a Marx - congetture che non potevano avere basi solidissime. Morale? Se è vero, come si afferma, che la storia è maestra di vita, allora diventa un dovere raccontarla giusta.
A che cosa serve la storia?
Gonzague DE REYNOLD
A che cosa serve la storia?
tratto da: Gonzague DE REYNOLD, raconte la Suisse et son histoire, Payot, Losanna 1965, p. 165. Pubblicato in Cristianità, 11 (1983) marzo, n. 95.
Titolo e traduzione redazionali
La storia non è assolutamente soltanto il passato. Il passato è solo una parte della storia, quella che abbiamo sotto gli occhi quando ci fermiamo a un certo punto per guardare indietro. La storia è una forza che si impadronisce del passato, spinge il passato sul presente e li spinge entrambi nel futuro.
L'immagine della storia è il fiume.
Sgorga da una sorgente ai piedi di un ghiacciaio. Attraverso i ciottoli, i pezzi di ghiaccio e le lastre di neve indurita, comincia a dividersi in un ruscellamento di fili di acqua, che, brillando al sole, si separano poi si ricongiungono. Subito si gonfia in un torrente che cade di cascata in cascata con un rumore sordo in fondo a una gola oscura. La sua caduta forma un piccolo lago nel quale le sue acque si calmano. Il fiume prende allora la forma di un corso di acqua che si può ancora attraversare saltando da una pietra all'altra. Scivola obliquamente in mezzo ai pascoli fino nella valle sempre più larga, nella quale, ingrossato da affluenti, il fiume, già molto lontano dalla sua sorgente, si sente ora un vero fiume. E va così, largo e limpido, di città in città, di popolo in popolo, di paese in paese; va a gettarsi nel mare, sotto il cielo illimitato.
Il fiume può perdersi nelle foreste oppure nelle sabbie: si ritrova sempre. Può scomparire sotto terra: si riconosce la sua presenza fecondante dai campi più verdi e dagli alberi più alti. Può rallentare e disperdersi nelle paludi: si crede che si sia fermato, ma scorre sempre sotto le acque stagnanti. Può improvvisamente andare in collera, brontolare più forte del tuono, inondare città e campagne, strappare ponti, sfondare case, costringere le popolazioni a fuggire: lo si vede sempre rientrare nel suo letto. Dalla sua sorgente alla sua foce, malgrado tutti gli ostacoli, segue una direzione costante. È uno.
Ecco un'altra domanda che mi è stata spesso posta: a che cosa serve la storia?
Insegna agli uomini a vivere in società. Perciò è una sapienza.
È una sapienza perché è una esperienza. Mostra che gli uomini sanno quello che fanno, ma non possono prevederne tutte le conseguenze. Ci insegna che molte disgrazie, molte catastrofi, molte decadenze, molte degenerescenze hanno il loro punto di partenza in errori morali.
La storia ha questa virtù, ci aiuta a prevedere. In questo senso è una prudenza. La prudenza stessa si definisce una sapienza pratica, quella che deve possedere l'uomo di Stato. Ma se l'uomo di Stato vuole prevedere, e questo è un atto specifico della ragione, deve fondarsi nello stesso tempo sulla conoscenza del presente e sulla esperienza del passato. Chi parla così è san Tommaso di Aquino.
La storia è anche una giustizia. Esige da noi lo sforzo di comprendere prima di giudicare. Ci vieta di condannare il passato sulla base del nostro presente. Ci invita a chiederci incessantemente: che cosa hanno amato, voluto, cercato gli uomini di altri tempi? Che cosa hanno sofferto? Che cosa hanno potuto realizzare, e con quali mezzi? E che cosa noi dobbiamo a loro, a tutti loro, oggi?
In questo modo, la storia diventa una pietà. Gli antichi rappresentavano questa virtù sotto la forma di una donna velata, che brucia incenso su un altare. La pietà che ci insegna la storia corona e illumina la giustizia che dobbiamo ai morti con la gratitudine, il rispetto e l'amore. Infatti, che cosa è un popolo, che cosa è il nostro popolo? Un grande insieme storico, formato più da morti che da viventi.
La storia ci restituisce così il senso del sacro, questo senso che abbiamo perduto e nella cui perdita il dottor Carrel, uno dei più grandi scienziati contemporanei, vedeva la causa prima della nostra decadenza.
Il sacro è la presenza di Dio. La presenza di Dio nella storia è la Provvidenza. La storia è un mistero: da dove viene, dove va? Da dove viene il nostro paese, dove va il nostro paese? Si sente passare nella notte una corrente potente che, qui e là, di luogo in luogo, fa brillare lumi perché non ci perdiamo tutti nelle tenebre, perché ritroviamo il nostro cammino e seguiamo la direzione giusta. Una corrente spirituale che viene da Dio e ritorna a Dio, dopo avere attraversato la vita umana, la vita delle nazioni, e dei secoli, e il tempo.
La storia ci deve essere insegnata per aiutare il nostro paese ad attraversare i tempi.
Un secolo prima di Gesù Cristo, il più illustre oratore della antichità latina, Cicerone, scriveva: «I popoli che si disinteressano della loro storia si condannano a essere sempre fanciulli».
fonte: http://www.storialibera.it/storiografia/insegnare_storia/articolo.php?id=9&titolo=A
venerdì 26 novembre 2010
giovedì 25 novembre 2010
Abruzzo: Dagli Aragonesi ai Borbone
grazie
1442 gli Abruzzi fanno parte del Regno di Napoli, sotto gli aragonesi con Alfonso V d'Aragona il regno di Napoli è unificato a quello di Sicilia.
1445 fondazione della fortezza di Civitella del Tronto
1455, 1459, 1462 terremoti all'Aquila
1456 forti scosse di terremoto si verificarono negli Apruzzi, specialmente il Citeriore, con danni e morti specialmente a L'Aquila, Ortona e Sulmona. La prima scossa avvenne nella notte tra il 4 e il 5 dicembre e altre ne seguirono nei giorni successivi. (Romanel. Scov. Frent., tomo 2, cap. 22) con rovine di edifici e strage di abitanti. In Teramo (scrive lo storico Muzio Muzj), ...caddero molte case, colla morte di dugento e più persone. Più o meno di danno risentirono le altre città e luoghi del Regno (Murat. ad anno 1456).
1461 forte terremoto a L'Aquila. L'intensità si stima abbia raggiunto il X grado della Scala Mercalli a L'Aquila e il grado VIII della Scala Mercalli a Lucoli.
1496 detronizzazione di Ferdinando II di Napoli, fine degli aragonesi, inizio del dominio spagnolo.
Alla fine del XV secolo il re Carlo VIII di Francia pretese il trono del regno di Napoli. La lotta tra spagnoli e francesi si protrasse fino alla metà del XVI secolo. Le conseguenze per le città dell'Abruzzo furono catastrofiche: essendosi schierate coi francesi, sotto il dominio spagnolo furono trasformate in fortezze e l'Abruzzo ridotto ad un territorio militarizzato di confine del regno di Napoli.
1501 terremoto a L'Aquila
1506 forti scosse di terremoto in Frentania. Gravi danni ad Ortona dove si registrano tre contrade distrutte e centinaia di morti
1510 Carlo V fonda la città-fortezza di Pescara
1550 nasce a Bucchianico, San Camillo de Lellis
1563 terremoto segnalato ad Atri
1631 vari terremoti in Abruzzo
1639 terremoto ad Amatrice, Campotosto e località viciniore
1646 forti scosse sismiche a L'Aquila
1672 terremoto a L'Aquila, Montereale e Amatrice
1694 intenso terremoto a Salerno, Potenza e Avellino con risentimento anche in Abruzzo con danneggiamenti delle città di Lanciano, Ortona, Chieti ed altre limitrofe
1703, il 2 febbraio, terremoto disastroso a L'Aquila (IX grado della Scala Mercalli) (con circa 8000 morti), Leonessa, Norcia (2000 morti). A Lucoli si stima che il sisma abbia avuto un'intenstità del VIII grado della Scala Mercalli.
1706 terremoto sulla Maiella. Devastati l'Aquilano, la Marsica e la conca Peligna. A Pettorano l'intensità del sima è dell'VIII grado della Scala Mercalli.
1744 nasce a Montorio al Vomano, Melchiorre Delfico
1762 terremoto nell'Aquilano. Viene distrutto il paese di Poggio Picenze. Qui l'intenstità stimata è del IX grado della Scala Mercalli.
colossale smottamento a Roccamontepiano nel chietino. Il paese viene travolto e distrutto. 500 morti su un totale di 2000 abitanti
1782 terremoto e frana a Ortona
1786 varie scosse di terremoto nell'Aquilano. A San Demetrio si stima un'intensità dell'VIII grado della Scala Mercalli.
1789 terremoto a L'Aquila e Sulmona. Danni contenuti.
1791 terremoto a Lucoli di un'intensità pari all'VIII grado della Scala Mercalli.
1799-1806 insorgenze antigiacobine in tutto il territorio abruzzese e molisano; ribellione di molti paesi e moti popolari, come a Scerni alla guida del barone De Riseis.
1803 Forte scossa di terremoto a Teramo
1806-1815 L'Abruzzo viene annesso all'impero di Napoleone. I paesi di Agnone e Forlì del Sannio passano dall'Abruzzo citeriore al Molise, mentre quest'ultimo perde Castelguidone. L'intero distretto di Larino dalla Capitanata viene annesso al Molise. L'Abruzzo Ulteriore è suddiviso in Abruzzo Ulteriore Primo e Abruzzo Ulteriore Secondo.
1841 scosse sismiche di rilevante intensità ripetute per vari giorni. Danni a Torre de' Passeri, Civitella Casanova e dintorni, Palena (VIII grado della Scala Mercalli), Taranta Peligna, Torricella Peligna e luoghi viciniori
1848 terremoto a L'Aquila
1815-1860 L'Abruzzo partecipa allo sviluppo del Regno delle Due Sicilie
fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Storia_dell'Abruzzo
Abruzzo: Dagli Angioini agli Aragonesi
(grazie)
1302 Pace di Caltabellotta, il regno di Napoli resta agli angioini, il regno di Sicilia va agli aragonesi
1315 terremoto nell'aquilano. Le prime scosse il 1º febbraio, anche se i maggiori danni si ebbero a partire dal 13 febbraio e proseguiranno, a seguito di ulteriori scosse, per le successive quattro settimane (i fatti sono descritti nelle Cronache aquilane di Buzio di Ranallo). Si stima che a Paganica il sisma sia stato di intensità pari al VIII grado della Scala Mercalli
1336 nasce a Sulmona Cosimo de' Migliorati (papa Innocenzo VII)
papa Innocenzo VII1340 Lanciano con 6.500 abitanti è la città più popolosa dell'Abruzzo
1348 - 1349 terremoto sull'appennino abruzzese. Nel 1348 viene distrutta San Clemente a Casauria nella valle della Pescara. Nel 1349 il sisma distrugge quasi completamente L'Aquila. Una prima scossa si generò il 7 settembre 1349 avvertita anche a Roma dove rimase danneggiata la Torre dei Conti e la Torre delle Milizie ai bordi degli antichi Mercati Trajanei e anche la basilica di San Paolo fuori le Mura. Altre forti scosse il 9 e 10 settembre fecero gravissimi danni all'Aquila provocando 800 morti e attivando un esodo della popolazione verso le campagne e i villaggi circostanti. I terremoti furono avvertiti nel reatino, nella conca del Fucino e nella Valle Roveto fino a Sora. Si verificarono danni perfino nell'abbazia di Montecassino dove cedette la basilica.[1] Si stima che in quella serie di scosse si sia raggiunta un'intensità pari al X grado della Scala Mercalli.
Quando Roberto d'Angiò (1309 – 1343) morì, il regno di Napoli attraversò un periodo di crisi. Il re Luigi I d'Ungheria, per vendicare il fratello, si lanciò alla conquista del Regno, mentre Giovanna I d'Angiò (1327 - 1382) e il marito si rifugiavano presso la corte papale di Avignone (1348). Quando Luigi I ritirò le sue truppe per l'arrivo della peste nera, Giovanna I tornò a Napoli, subendo, nel 1350, una nuova incursione dell'esercito ungherese, conclusasi anche questa con un nulla di fatto.
1360 il Duca d'Andria distrugge Marruvium
A partire dal 1380 Giovanna I dovette scontrarsi con il nipote e cognato Carlo di Durazzo: dopo averlo nominato erede al trono, la regina gli aveva revocato i diritti di successione preferendogli il cugino Luigi I d'Angiò, fratello del re di Francia. Carlo di Durazzo fece assassinare la regina (1382) e si impadronì del regno, ma fu assassinato a sua volta nel 1386 in Ungheria.
Salì al trono Giovanna II di Napoli (1414 – 1435), sorella di Ladislao I d'Angiò. Priva di eredi diretti, Giovanna nominò suo successore prima Alfonso, re d'Aragona, ed in seguito Renato d'Angiò.
Braccio da Montone andò in aiuto della regina di Napoli, scomunicata dal Papa, controllando tutti i territori dell'Abruzzo e parteggiando per Alfonso V d'Aragona contro gli angioini del ramo francese.
1384 terremoto a Teramo e ad Atri
1398 terremoto a L'Aquila con danneggiamenti alle costruzioni
1420-24 per conto della regina Giovanna II, Braccio da Montone è signore di Teramo.
1423 la città dell'Aquila si ribellò, e Giovanna II diede incarico al condottiero Muzio Attendolo Sforza di andare a riconquistarla. Nel tentativo di guadare il fiume Pescara un suo paggio rischiò di affogare e Muzio, nel tentativo di salvarlo, fu travolto dalle acque.
2 giugno 1424 durante la battaglia finale ad Aquila tra aragonesi e angioini, Braccio da Montone rimase gravemente ferito. Non volle cure e pochi giorni dopo morì. Il Papa lo fece seppellire in terra sconsacrata, vi rimase fino al 1432 quando, per iniziativa del nipote Niccolò della Stella Fortebraccio, i suoi resti furono tumulati nella Chiesa di San Francesco al Prato a Perugia.
Nello stesso anno 1424 viene distrutto il monastero di Bominaco
Nella prima metà del XV secolo la pastorizia abruzzese ha il suo massimo splendore. Almeno la metà della popolazione d'Abruzzo dipendeva dalla pastorizia, sia direttamente che indirettamente. Vi erano oltre 3 milioni di ovini e 30000 pastori. Tale sviluppo fu dovuto alla pratica della transumanza.
Nel 1442, Napoli, in mano a Renato d'Angiò e assediata dagli Aragonesi, fu costretta alla resa. Questo segnò la fine della dominazione angioina sul meridione d'Italia. Alfonso V d'Aragona, che fu poi detto il Magnanimo, riunificò il regno di Napoli alla Sicilia.
fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Storia_dell'Abruzzo
La città dell'Aquila
(grazie)
le prime notizie di una città detta Acquili o Aquila datano tra il 900 e il 1100 d.C., certamente sul colle ove oggi è la città si andarono aggregando, intorno al grande convento cistercense di Collemaggio, popolazioni in fuga dai piccoli feudi vicini. Questo primo nucleo di gente libera conquistò il diritto di esistere come città sia guerreggiando a lungo con i feudatari locali sia "comprando" vari editti di fondazione di Papi e RE, tra cui il più famoso, anche se apocrifo, fu quello detto di Federico II, intorno al 1230. Città libera e sui confini fra Impero e Papato, l'Aquila crebbe di importanza sia per il suo ruolo commerciale di porta del SUD, sia per il suo ruolo politico straegico sempre in equilibrio fra Guelfi e Ghibellini. Divenne Aquila degli Abruzzi nel 1861 e L'Aquila nel 1939. Fu costituita dall'unione di molti villaggi della zona (99, secondo la tradizione locale), ognuno dei quali costituì un quartiere che rimase legato al villaggio-madre e fu considerato parte dello stesso per circa un secolo.
Il primo consiglio cittadino fu composto dai sindaci dei vari villaggi e la città non ebbe una propria esistenza giuridica riconosciuta fino al regno di Carlo II di Napoli, che nominò un Camerlengo quale responsabile dei tributi, che, da allora in poi, furono pagati da tutta la città in quanto tale, mentre, in precedenza, erano pagati dai singoli villaggi, ognuno dei quali comprendeva il quartiere realizzato in città.
Successivamente, il Camerlengo acquisì anche il potere politico, divenendo presidente del consiglio cittadino (che ebbe vari nomi e composizione nel corso dei secoli). La città, autonoma, anche se sotto la sovranità del regno di Sicilia prima e del regno di Napoli poi, salvo un breve periodo in cui fece parte dello Stato Pontificio, fu governata da una diarchia composta dal consiglio e dal capitano regio, cui si aggiunse, nel XIV secolo, il conte Pietro Camponeschi, detto Lalle che, da privato cittadino, divenne il terzo lato di una nuova triarchia.
Già in precedenza, la città era divenuta una quasi signoria sotto Niccolò dell'Isola, nominato Cavaliere del Popolo, ma poi massacrato dal popolo stesso quando il suo potere cominciava a diventare troppo grande. Anche Camponeschi, Gran Cancelliere del regno di Napoli, oltre che conte feudale di Montorio al Vomano e quasi "signore" dell'Aquila, finì ucciso, ma, questa volta, per ordine del principe Luigi di Taranto. Il terzo ed ultimo "signore" della città fu Ludovico Franchi, che sfidò anche i papi ospitando Alfonso I d'Este, cacciato da Ferrara, e i figli di Giampaolo Baglioni, l'ultimo signore di Perugia. Tuttavia, quando il suo potere cominciò a diventare troppo grande, gli Aquilani, sempre gelosi della loro libertà, si lamentarono presso il re di Napoli, che lo fece deporre ed imprigionare.
La città, che era la seconda del regno per potenza e ricchezza, iniziò a decadere nel XVI secolo, quando il viceré spagnolo Filiberto d'Orange, dopo averla devastata, la separò dal suo contado, introducendovi il feudalesimo spagnolo e privandola della sua autonomia.
fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Storia_dell'Abruzzo
lunedì 22 novembre 2010
Breve storia del nome Italia in 30 punti
(grazie)
Capitolo 3 – Breve storia del nome Italia in 30 punti
(gli argomenti sono espansi nel capitolo 6)
1 - Il nome Italia inizia ad essere usato nel sesto secolo avanti Cristo e si riferisce solo alla regione che oggi chiamiamo Calabria.
2 - Nel quinto secolo a.C. lo storico Antioco di Siracusa scrive un saggio sull'Italia, che comprende già tutte le regioni meridionali, e fa derivare il suo nome da un leggendario Re Italo.
3 - Nel terzo secolo avanti Cristo il nome Italia si è già esteso alle regioni del Centro e comprende così l'intera penisola, intesa nel senso geografico del termine.
Immagine tratta da: “Italia fisica”, Touring Club Italiano, 1957
4 - Secondo alcuni autori Romani del secondo secolo avanti Cristo, il nome Italia comprende anche le regioni del nord. Le Alpi infatti sono le montagne più alte d'Europa e rendono l'Italia quasi un'isola rispetto al resto del continente.
5 - Intorno al 90 a.C. gli Italici coniano la prima moneta della storia su cui figuri il nome ITALIA, iscritto nei caratteri romani che usiamo ancora oggi. Nell'88 a.C. gli Italici ottengono la cittadinanza romana.
6 - Nell'81 a.C. Silla attribuisce al nome Italia un significato politico ufficiale, che comprende le regioni peninsulari e la Liguria.
7 - Nel 45 a.C. Giulio Cesare include nel territorio d'Italia le altre regioni del nord.
8 - Nel 27 a.C. l'imperatore Cesare Ottaviano Augusto suddivide l'Italia in 11 regioni (v. punto 99). Pochi anni dopo lo storico e geografo Strabone afferma: "tutti gli Italiani sono ormai Romani". Il resto dell'Impero Romano è suddiviso in province, che non hanno la cittadinanza romana. La Sicilia, la Sardegna e la Corsica per adesso rimangono ancora province esterne all'Italia. In quest'epoca Virgilio scrive l’Eneide, in cui celebra l’Italia e le origini di Roma (v. punto 181). Sopra l’attuale Principato di Monaco i Romani costruiscono il Trofeo della Turbia, dove si legge l'iscrizione: "Huc usque Italia, abhinc Gallia" (“Fin qui l'Italia, da qui la Gallia”).
9 - Nel 77 d.C. Plinio il Vecchio descrive l'Italia nel libro III della sua Naturalis Historia e afferma: "Questa è l'Italia sacra agli dei" (v. punto 183).
10 - Nell'anno 292 dopo Cristo viene formata la "Diocesi Italiciana", che comprende anche la Sicilia, la Sardegna e la Corsica.
11 - Nel quinto secolo d.C. l'Impero Romano collassa sotto le invasioni barbariche e si riduce alla sola Italia. Nel 476 d.C. Odoacre pone fine all'Impero e si dichiara Re d'Italia: inizia il Medio Evo. Nel 493 l'ostrogoto Teodorico destituisce Odoacre e diventa Re d'Italia al suo posto.
12 - Tra il 535 e il 553 Giustiniano, Imperatore Bizantino, riconquista l'Italia e afferma: "Italia non provincia sed Domina provinciarum" ("L'Italia non è una provincia ma è la Signora delle province").
13 - Nel 568 i Longobardi invadono gran parte dell'Italia, che così perde la sua unità territoriale e nei decenni successivi si ritrova spezzettata tra Bizantini (con capitale Ravenna) e Longobardi (con capitale Pavia). Rimangono possedimenti bizantini la Romagna, l'Istria, le Marche, la zona di Roma, gran parte del Sud, la Sicilia, la Sardegna e la Corsica. Diventano Longobarde la maggior parte del nord (tranne la Romagna e l'Istria), la Toscana, il Ducato di Spoleto e il Ducato di Benevento (quest’ultimo comprende l'Abruzzo, la parte interna della Campania e la Lucania).
14 - Nell'800 Carlo Magno costituisce il Sacro Romano Impero, che comprende il Regno d'Italia. L'Impero però inizia presto a perdere territori: tra il dodicesimo e il tredicesimo secolo il Sacro Romano Impero comprende solo la Germania con poche aree limitrofe e con l'Italia centro-settentrionale. Per giunta diverse città italiane rivendicano la loro autonomia: nascono così i Liberi Comuni e le Repubbliche Marinare. Nel 1176 la Lega Lombarda, formata da varie città del nord ed appoggiata dal Papa e dalla Sicilia, sconfigge temporaneamente l'imperatore Federico Barbarossa.
15 - Intorno al 1220 l'Imperatore Federico II di Svevia, nipote del Barbarossa, diventa Re d'Italia e di Sicilia. Alla sua corte di Palermo nasce la "Scuola Siciliana", che costituisce la prima scuola poetica della letteratura italiana. I poeti siciliani non scrivono in latino, che ormai pochi capiscono, bensì in "lingua volgare", quella del popolo (anche se molto ripulita). Il risultato è una lingua simile all'italiano attuale, che verrà ripresa dai poeti dello Stil Novo, tra cui Dante.
16 - Dante Alighieri si propone di definire un "volgare illustre" comune a tutte le regioni d'Italia, e per far questo estrae il meglio dagli autori che avevano scritto in volgare fino ad allora. Nel "De Vulgari Eloquentia" egli descrive le 14 principali parlate regionali d’Italia ed evidenzia le caratteristiche comuni su cui deve fondarsi l'unico "volgare illustre" (punti 40; 41; 156; 157). Nella "Divina Commedia" e in altri scritti Dante lascia in eredità un patrimonio vastissimo ed esemplare del "volgare illustre". Perciò il suo lavoro risulta completo sia da un punto di vista teorico che pratico e di fatto codifica la lingua italiana. In alcuni suoi scritti egli descrive anche la triste situazione in cui trova l’Italia nella sua epoca (v. punti 63 e 183).
17 - A partire dal 1300, il "volgare illustre" di Dante, cioè la lingua italiana, si diffonde sempre più, e intorno al 1500 inizia a sostituire il latino come lingua ufficiale dei vari Stati Italiani.
18 - Nel 1503 vi è la Disfida di Barletta: 13 cavalieri italiani sfidano 13 cavalieri francesi che avevano denigrato gli italiani. L'episodio è riportato da Guicciardini nella "Storia d'Italia" (1535-1539) ed è celebrato da Massimo D’Azeglio nel romanzo "Ettore Fieramosca da Capua" (1833) . La disfida si conclude con una schiacciante vittoria degli italiani (v. punti 124 e 125).
19 – L’arte italiana durante l'Umanesimo e il Rinascimento (e più in generale dal 1300 fin oltre il 1600) produce opere di bellezza ineguagliabile. Tra i colossi della pittura, della scultura e dell’architettura possiamo ricordare Botticelli, Leonardo da Vinci, Michelangelo, Raffaello, Tiziano, Palladio, Caravaggio, Bernini. Oggi l'Italia possiede il 60% del patrimonio artistico mondiale! Tutte le altre nazioni messe assieme (tra cui figurano nomi come Grecia, Egitto, India, Cina, Francia, Spagna...) posseggono il restante 40%. L’Italia è anche la nazione col maggior numero di luoghi dichiarati dall’UNESCO "Patrimonio dell'umanità", in totale 39, ma è seguita a ruota dalla Spagna, con 37. Tornando al Rinascimento, Leonardo fu anche matematico e ingegnere e dev’essere considerato il predecessore di Galileo Galilei, fondatore della scienza moderna. Tra i filosofi è inevitabile ricordare Giordano Bruno e Tommaso Campanella, la cui importanza risulta decisiva per la nascita della filosofia moderna. Il Rinascimento Italiano conta anche molti importanti matematici.
20 - Nei primi decenni del 1600 inizia un certo declino per l'Italia, che era stata per 15 secoli il faro della civiltà europea (v. punto 133). Altre nazioni invece progrediscono rapidamente verso alti livelli di civiltà e benessere (soprattutto Francia, Inghilterra, e Stati Germanici). Uno dei primi sintomi della decadenza si trova in una lettera che il filosofo Tommaso Campanella (Stilo, Calabria, 1568 - Parigi 1639) scrive nel 1592 al giovane Galileo Galilei (Pisa 1564 - Firenze 1642). Campanella commenta in questo modo il successo del modello astronomico del Polacco-Tedesco Copernico: "è gran vergogna che ci vincan le nazioni che noi avemo di selvagge fatte domestiche". Campanella sottolinea però che Copernico aveva studiato a Ferrara.
21 - Nonostante la decadenza culturale e civile dell'Italia, nel diciassettesimo secolo la lingua italiana si afferma come la lingua standard della musica. Ancora oggi la maggior parte dei termini utilizzati dai musicisti di tutto il mondo sono in italiano (malgrado l'incalzare della lingua inglese nella musica moderna). V. punti 54; 167; 168.
22 - Alla fine del '700 si manifestano i primi segni del Risorgimento Italiano. Nel 1797 a Reggio Emilia uno degli Stati satelliti creati in Italia da Napoleone, la Repubblica Cispadana, adotta la bandiera tricolore, che poi diventerà la bandiera d'Italia. Vengono considerati primi segni del Risorgimento Italiano anche la Repubblica Romana (1798) e la Repubblica Partenopea (1799).
23 - Nel 1802 Napoleone si proclama Presidente d’Italia, e poi Re nel 1805. Ma il suo Regno d'Italia comprende solo il Nord e dura pochi anni. Nel 1814 lo stesso Napoleone, prigioniero all'isola d'Elba, dichiarerà di voler riunificare l'Italia (v. punto 139).
24 - Nel 1814 Gioacchino Murat, Re di Napoli e cognato di Napoleone, nel "Proclama di Rimini” inneggia all'unificazione e all'indipendenza d'Italia (v. punti 140 e 141). Ma pochi mesi dopo, la Restaurazione ad opera del Congresso di Vienna riporta tutto come prima. Il ministro austriaco Metternich spegne le speranze dei patrioti italiani con un'affermazione che oggi viene spesso abbreviata in questi termini: "L'Italia è solo un'espressione geografica". In realtà l’affermazione originale di Metternich è più completa e meno drastica (v. punto 143).
25 - Per non dare un'impressione di parte, la nostra panoramica storica salterà gran parte del Risorgimento, che in senso stretto dura dal 1847 al 1870, ma in senso lato si può estendere dal 1797 al 1918. Dovremo comunque riportare alcuni fatti fondamentali e fare alcune precisazioni significative su alcuni fatti oggi spesso dimenticati (punti 25-28 e 145-148).
25 – Nel 1848 i milanesi si ribellano ai dominatori Austriaci e riescono a scacciarli dalla città (Cinque giornate di Milano). Subito dopo il Piemonte intraprende la prima guerra di Indipendenza contro l'Austria per liberare tutto il Lombardo-Veneto, ma gli Austriaci hanno il sopravvento e riconquistano anche Milano. Questa guerra rimane comunque un caposaldo del Risorgimento, sia per il coinvolgimento del popolo lombardo, sia perché vi partecipano volontari di altre regioni italiane, tra cui spiccano Toscana e Campania (v. punto 145).
26 - Nella seconda guerra di Indipendenza, combattuta nel 1859 contro l'Austria e col sostegno della Francia di Napoleone III, il Piemonte conquista la Lombardia e annette altre regioni del Centro-Nord. Nel 1860 la spedizione dei Mille, guidata da Garibaldi, conquista il Meridione d'Italia. Qualcuno oggi crede che i Mille fossero quasi tutti Settentrionali; in effetti vi erano moltissimi lombardi e veneti, ma erano rappresentate tutte le regioni d'Italia. I meridionali erano almeno duecento (v. punto 146).
27 - Nel 1861 a Torino viene proclamato il Regno d'Italia (che non comprende ancora Roma e le Venezie). Nel 1866, con la Terza Guerra d'Indipendenza, l'Italia conquista il Veneto (ma non Trento e Trieste). Quindi nel 1870 conquista Roma, che diventa Capitale d’Italia.
28 – Nei decenni successivi gli "irredenti" di Trento e Trieste, città rimaste sotto il dominio austriaco, aspirano al congiungimento con l'Italia. Questo porterà l'Italia ad entrare nella Prima Guerra Mondiale (1915) e a conquistare questi territori.
29 – Prima guerra mondiale: la data della vittoria è il 4 Novembre 1918. Oltre a Trieste e al Trentino, l'Italia ottiene il Carso e l'Istria, dove vivono delle minoranze Slave, e il cosiddetto Alto Adige, che in realtà è una provincia austriaca a tutti gli effetti, chiamata Sud-Tirolo: si tratta dell’attuale provincia di Bolzano (v. punto 149).
30 - In seguito alla Seconda Guerra Mondiale, nel 1945 l'Italia subisce dei tagli territoriali, molto piccoli ad Ovest, a favore della Francia (Briga, Tenda e piccolissime altre zone), ma notevoli ad Est, a favore della Jugoslavia (Carso, Istria, Dalmazia). V. punto 150.
fonte: http://italia.onwww.net/italia/brevestorianomeitalia.htm
Abruzzo: quiz sul nome "Italia".
(grazie!)
1) In che anno comparve la prima moneta con la parola ITALIA?
A - 1805 - Regno d'Italia di Napoleone, Milano (di breve durata).
B - 1220 - Regno d'Italia e di Sicilia di Federico II di Svevia, Palermo.
C - 497 - Regno d'Italia di Teodorico, Ravenna.
D - 130 - Impero Romano di Adriano.
E - 90 a.C. - Moneta degli Italici, Italica (oggi Corfinio).
2) In quale anno l'Italia fu, per la prima volta, organizzata o classificata in "regioni"?
A - 1871 - Regno d'Italia suddiviso in 18 regioni (dopo la conquista del Veneto e del Lazio).
B - 1304 - Dante Alighieri nel "De Vulgari Eloquentia" classifica le 14 regioni d'Italia.
C - 673 - Italia suddivisa tra regioni longobarde e bizantine, per un totale di 16.
D - 292 - L'Imperatore Diocleziano suddivide la Diocesi Italiciana in 14 regioni (isole comprese).
E - 27 a.C. - L'Imperatore Cesare Ottaviano Augusto suddivide l'Italia in 11 regioni (isole escluse).
3) In quale testo compare la prima classificazione dei dialetti italiani?
A - 1928 - Karl Jaberg e Jakob Jud - "Atlante dei dialetti d'Italia e della Svizzera Meridionale".
B - 1906 - Leopold Wagner - "Dialetti Italiani e Sardi".
C - 1882 - Ascoli Graziadio Isaia, "L’Italia dialettale".
D - 1853 - Bernardino Biondelli - "Saggi sui dialetti gallo-italici".
E - 1304 - Dante Alighieri - "De Vulgari Eloquentia".
4) Quale poeta definì l'Italia: "Il bel paese ch'Appennin parte [ripartisce] e il mar circonda e l'Alpe"?
A - Giacomo Leopardi (1798 – 1837).
B - Vincenzo Monti (1754 – 1828).
C - Ugo Foscolo (1778 - 1827).
D - Galeazzo di Tarsia (1520 - 1553).
E - Francesco Petrarca (1304 – 1374).
5) La prima "Storia d'Italia" in lingua italiana fu scritta da:
A - Benedetto Croce (1866 - 1952).
B - Pietro Giannone (1676 - 1748).
C - Ludovico Antonio Muratori (1672 - 1750).
D - Giambattista Vico (1668 - 1744).
E - Francesco Guicciardini (1483 - 1540).
6) Un filosofo italiano scrisse a uno scienziato italiano:
"E' gran vergogna che ci vincan le nazioni che di selvagge avemo fatte domestiche".
Quand'è datata questa lettera e chi erano il mittente e il destinatario?
A - 1898 - da Benedetto Croce a Guglielmo Marconi.
B - 1833 - da Pasquale Galluppi ad Amedeo Avogadro.
C - 1799 - da Cesare Beccaria a Alessandro Volta.
D - 1695 - da Giambattista Vico a Giovanni Domenico Cassini.
E - 1592 - da Tommaso Campanella a Galileo Galilei.
7) In quale poema l'Italia venne celebrata per la prima volta?
A - "Adone" di Giambattista Marino (1569 - 1625).
B - "Gerusalemme liberata" di Torquato Tasso (1544 - 1595).
C - "L'Italia liberata dai Goti" di Giangiorgio Trissino (1478 - 1550) .
D - "La Divina Commedia" di Dante Alighieri ( 1265 - 1321).
E - "Eneide" (in latino) di Virgilio (70 a.C. – 19 a.C.).
8) Qual è la lingua usata a livello internazionale dai musicisti, fin dal diciassettesimo secolo?
A - Francese
B - Tedesco
C - Inglese
D - Russo
E - Italiano
9) Quanti erano i Meridionali nei Mille di Giuseppe Garibaldi, partiti da Genova nel 1860?
A - Nessuno
B - Soltanto 11
C - Circa 30
D - Circa 200
E - Circa 400
LEGGI LE RISPOSTE GIUSTE : http://italia.onwww.net/italia/quiz2.htm
sabato 20 novembre 2010
giovedì 18 novembre 2010
L' Abruzzo dai tholos ai trabocchi
Ricordo che circa un anno fa, o forse un pò di più, partecipai ad una cena nella quale, con alcuni rappresentanti di varie organizzazioni culturali, si doveva decidere su quale ricordo dell' Abruzzo doveva essere regalato ai rappresentanti di altri gruppi culturali stranieri, che avrebbero visitato l' Abruzzo. Alla fine, arrivammo a dover scegliere se regalare una miniatura di un tholos in pietra oppure la miniatura di un trabocco in legno. I tholos (o meglio capanne a tholos in Abruzzo, caciare nelle Marche) sono costruzioni realizzate dai pastori transumanti con la pietra secca (senza alcun collante) e l' appennino abruzzese è tutt' ora cosparso di queste costruzioni, in particolar modo lungo il massiccio della Majella. I tholos più antichi risalgono addirittura a circa trecento anni fa (o forse mi sbaglio);
i più grandi sono fatti di due locali, il più grande è per il pastore ed è accessibile da un ingresso più grande, mentre il più piccolo è per i cani e quindi è accessibile da un ingresso più piccolo. Intorno ai tholos veniva eretto un muretto, sempre in pietra, che funzionava come recinto per il gregge (stazzo). Queste non erano costruzioni private, ma bensì ripari che gli antichi pastori abruzzesi construivano lungo le vie della transumanza ed in questo lungo tragitto, che andava dalle montagne dell' Abruzzo al tavoliere della Puglia, essi si potevano fermare. I pastori abruzzesi si tramandavano l' arte sulla costruzione dei tholos ed ognuno di essi poteva riparane uno o ampliarne un altro. Una specialità culinaria dell' Abruzzo transumante è le orecchiette con gli orapi, ortaggi selvatici che crescono negli stazzi, ed è ancora possibile mangiarli dalle parti di Pescasseroli (probabilmente anche in altre zone). Naturalmente i tholos sono tutelati dalla Regione Abruzzo con apposite leggi.
I trabocchi sono invece costruzioni in legno, erette dai pescatori abruzzesi come palafitte lungo le coste rocciose dell' Abruzzo (vi sono anche coste sabbiose e coste ghiaiose). La parte di costa abruzzese, compresa tra Francavilla al mare e San Salvo, è appunto anche chiamata la Costa dei Trabocchi per queste costruzioni. I trabocchi sono fatti interamente in legno, appoggiati su lunghi pali conficcati tra la sabbia e gli scogli; si accede ad essi percorrendo una lunga passerella di legno, anch' essa retta da pali conficcati nella sabbia. Dalla piattaforma centrale si allungano numerosi pali, tramite i quali, con un intricato sistema di corde, i pescatori affondano nel mare delle enormi reti a bilancia. Al centro della piattaforma vi è una baracca, anch' essa in legno. I trabocchi erano utilizzati in inverno per la pesca dei cefali e delle spigole ed in estate per la pesca delle sarde; ma erano soprattutto utilizzati dai pescatori quando le intemperie non permettevano di uscire con le barche. I trabocchi, costruzioni apparentemente fragili, sono in realtà costruzioni che resistono al tempo ed alle intemperie, arrivando ad avere anche centinaia di anni. Le associazioni culturali provinciali e regionali hanno stabilito da un pò di tempo dei piani di recupero e di manutenzione per i trabocchi, che altrimenti, abbandonati, si distruggerebbero. In questi ultimi anni alcuni trabocchi sono stati adibiti a ristoranti, vere e proprie terrazze sul mare dove mangiare pesce fresco; mi raccomando, se volete andare dovete prenotare almeno un paio di giorni prima. La montagna ed il mare, così lontani tra loro per l' aspetto, gli usi e le tradizioni, in Abruzzo si avvicinano fino ad abbracciarsi, come fratelli; in poco più di un' ora di macchina, si va dai trabocchi ai tholos ed i pescatori salutano i pastori.
fonte: http://giovanninews.com/tholos-e-trabocchi-in-abruzzo
lunedì 15 novembre 2010
Chi è il cosiddetto "Guerriero di Capestrano",
Esaminiamo una statua scolpita in Abruzzo dal popolo dei Piceni, nel 600 a.C. E' il cosiddetto "Guerriero di Capestrano", che prende nome dalla località abruzzese in cui venne rinvenuto. Essendo unico nel suo genere, ha subito rappresentato motivo di forte dibattito tra gli studiosi.
Gli archeologi sono discordi inizialmente per quanto riguarda i canoni stilistici, davvero inusuali per i Piceni. Infatti i fianchi larghi, la vita stretta e la posizione delle braccia ricordano molto il faraone egizio Akhenaton, famoso per aver tentato invano di portare in Egitto un culto monoteista.
Gli studiosi sostengono che potrebbe essere la raffigurazione di un soldato piceno (in riposo o in parata), ma perchè in questo caso indossa quell'enorme copricapo e una maschera?
Di certo, non potevano essere adoperati in battaglia, perchè ingombranti e scomodi.
Che il cappello sia in realtà uno scudo, come ritengono alcuni?
Ma perchè posizionarlo sulla testa?
Inoltre, nessuno scudo è stato mai ritrovato nei siti e nelle tombe dei Piceni, provando così che questo oggetto di difesa non fu mai utilizzato dai soldati di questo popolo.
Per quanto riguarda la maschera, invece, essa aveva un significato ben preciso nella cultura Picena e, più in generale, italica: la diversità.
Il soggetto raffigurato era dunque uno straniero, diverso dagli altri, giunto chissà da dove.
E, secondo recenti studi, pare proprio che, ai lati della statua, gli scultori vollero inserire proprio la provenienza di chi raffigurarono.
Vi sono due pali con delle iscrizioni, che il personaggio sembra attraversare, come fosse un passaggio importante (o invisibile), e che nella sua complessività ricorda alcune raffigurazioni mesopotamiche ed egizie.
La lingua adoperata non è quella osco-umbra, nè quella etrusca o di altri popoli italici, bensì un misto, e a molti ricorda le misteriose tavolette di Aratta ritrovate in Mesopotamia.
Questa stranezza ha portato gli studiosi a chiedersi: perchè utilizzare un mix di lingue?
Le traduzioni ufficiali indicano, infatti, messaggi banali o privi di senso.
Decifrando invece secondo il metodo dei numeri, lo stesso metodo che si adoperò con le tavolette di Aratta, la scritta dice: ''Viaggiatore guidato nello spazio verso la Madre Terra''.
Ma allora, cosa voleva raffigurare il Guerriero di Capestrano? Probabilmente, qualche conoscenza che assimilarono dall'Egitto.
Una conoscenza molto antica che, come al solito, punta verso le stelle e che i Piceni vollero tramandare ai posteri attraverso questa imponente statua, dallo sguardo celato e allo stesso tempo profondo.
domenica 14 novembre 2010
Abruzzo e il risorgimento che non si può raccontare
La liberazione dallo "straniero" austriaco era la cosa che interessava
meno alla casta liberal-massonica che teneva Carlo Alberto praticamente
in pugno. La Massoneria, a quel tempo fanaticamente anticattolica
(ricordiamo che era stata trapiantata in Italia dai rivoluzionari
francesi) teneva soprattutto a distruggere l' Austria "papista".
Nel Sudamerica, con la complicità interessata degli Usa, aveva promosso
una serie di guerre d"'indipendenza" che avevano tolto tutto alla
Spagna e al Portogallo e gettato quel continente, un tempo prospero,
in braccio allo sfruttamento americano e inglese. Nell'Ecuador, per
esempio, il presidente Garcia Moreno, cattolico, aveva consacrato la
Costituzione al Sacro Cuore, ma aveva anche dimezzato le tasse e
triplicato i salari, arrivando a concedere il voto anche agli indios.
L'Ecuador fu l'unico stato a mandare un modesto aiuto economico al papa
Pio IX, dopo l'invasione di Roma da parte dei piemontesi. Garcia Moreno
venne assassinato mentre usciva di chiesa.
Alla Prima Guerra d'Indipendenza italiana, com'è noto, parteciparono
tutti gli stati della penisola, anche i borbonici e perfino un
contingente pontificio. Ma quando si accorsero che non si trattava di
unire l'Italia in una confederazione secondo i progetti di Gioberti e
Cattaneo, ma di star prestando man forte all'espansione del Piemonte,
tutti si ritirarono. Carlo Alberto, resosi conto di essere stato di
fatto il burattino di un progetto massonico internazionale, cambiò idea
e da quel momento venne beffeggiato come "il re tentenna". Suo figlio
Vittorio Emanuele, invece, stette al gioco dei massoni Palmerston e
Napoleone III. Pura propaganda era l'idea di "unità d'Italia", tant'è
che l'italiana Corsica fu lasciata fuori, e Nizza e la Savoia
tranquillamente barattate.
Con le leggi Siccardi il Piemonte carbonaro gettò la maschera e
cominciò un'aggressione anticattolica senza precedenti. Gli ordini
religiosi furono espulsi, i vescovi incarcerati, i beni ecclesiastici
confiscati, i conventi divennero prigioni e caserme. Le processioni
vennero vietate e si procedette a un'epurazione degli impiegati statali
"papisti". L'assassinio di Pellegrino Rossi e poi l'effimera Repubblica
Romana inaugurarono l'era dei cortei massonici con gli stendardi neri
raffiguranti Satana che schiacciava la testa all'arcangelo Michele.
Le chiese assaltate, le tipografie cattoliche devastate, i gendarmi che
intervenivano per arrestare i "provocatori" cattolici.
Con i soldi inglesi e le truppe francesi Cavour e compagni scatenarono
una serie di guerre tutte regolarmente perse (la Seconda Guerra
d'Indipendenza fu di fatto vinta dagli zuavi francesi). Le sole
campagne vittoriose furono quelle contro altri italiani: il Papa e il
Sud. La Terza Guerra d'Indipendenza finì col disastro di Custoza e
Lissa, malgrado l'Austria avesse offerto gratis il Veneto e il Trentino
purche l'ltalia si ritirasse dall'alleanza con la Prussia.
I "plebisciti" sancirono l'annessione forzata di tutti gli ex stati
italiani. La gente doveva votare all'aperto, mettendo le schede in due
urne: su una stava scritto"sì", sull'altra "no". A Napoli si dovette
votare passando tra due ali di garibaldini armati. Malgrado ciò, i voti
sommati risultarono pure molto superiori all'effettivo numero dei
cittadini (segno che ogni "liberatore" aveva votato più volte).
La spedizione dei Mille venne finanziata dagli inglesi e dai
protestanti americani e tedeschi. Ai Mille man mano si aggiunsero
soldati piemontesi travestiti. Molti alti ufficiali borbonici, massoni,
cedettero senza combattere (alcuni finirono linciati dalle loro stesse
truppe). Quando i borbonici poterono combattere davvero, al Volturno,
Garibaldi a stento riuscì a salvare la pelle. A Gaeta, Cialdini
continuò a cannoneggiare per ore (anche l'ospedale) dopo che era stata
issata la bandiera bianca. Lo stesso farà Cadorna alla breccia di Porta
Pia. Diversi ufficiali piemontesi, cattolici, preferirono dimettersi.
Il floridissimo Regno delle Due Sicilie in brevissimo tempo fu portato
al tracollo finanziario, e i meridionali per la prima volta nella loro
storia furono costretti a emigrare all'estero per poter mangiare.
Il Sud dovette pagare le guerre del Piemonte, anche quella combattuta
contro i meridionali stessi. Arrivarono tasse anche sul macinato, sulle
porte e le finestre (le case cominciarono così ad avere un sola
apertura, con conseguenti epidemie di tubercolosi, il male del secolo),
arrivò la leva obbligatoria che durava anni e toglieva braccia a
popolazioni prevalentemente agricole. Per dieci anni il Sud fu trattato
come una colonia da sfruttare; sorse per reazione il cosiddetto
"brigantaggio" (i partigiani dell'ex Regno, come al solito, vennero
definiti banditi).
Metà dell'esercito piemontese era di permanenza nel Sud, con uno stato
di emergenza continuo: fucilazioni di massa, rappresaglie, stermini,
incendi. Nacque così il problema del "mezzogiorno", da allora mai più
risolto. Nel nuovo regime burocratico e accentrato i meridionali,
privati delle industrie e delle terre ecclesiastiche e statali su cui
lavorare, presero il vizio di far carriera nella pubblica
amministrazione. Lo scrittore Ippolito Nievo, cassiere dei Mille, morì
in un misterioso naufragio mentre tornava al Nord con le ricevute delle
somme erogate. Cominciarono gli scandali: l'appalto dei tabacchi,
quello delle ferrovie, lo scandalo della Banca Romana. Cominciarono i
cadaveri "eccellenti" e le "ingabbiature" di cui non si sarebbe mai
saputa la verità.
Alla breccia di Porta Pia, dopo i bersaglieri, il primo ad entrare fu
un carretto di Bibbie protestanti, tirato da un cane chiamato
"Pio Nono". Tra i patti che Cavour aveva fatto con gli inglesi,
"padrini" dell'espansione piemontese, c'era anche l'appoggio alla
divulgazione protestante contro l'odiato "papismo". Garibaldi si ritirò
a Caprera con un sacco di grano (secondo la leggenda) e con una cassa
di Bibbie protestanti (secondo la storia vera). Anche i soldati
italiani in Crimea vennero inondati di Bibbie protestanti. Quando Pio
IX morì il suo corteo funebre venne assaltato da fanatici massoni che
cercarono di gettare nel Tevere la bara. Ogni venerdì santo le logge
organizzavano giganteschi banchetti all'aperto in Roma, a base di carne
di maiale. Il sindaco di Roma, duca di Torlonia, che aveva osato fare
gli auguri a Leone XIII, venne destituito.
Il sindaco più ricordato del tempo è il massone Ernesto Nathan, figlio
dell'amante inglese di Mazzini, il quale potè fare il sindaco della
capitale d'Italia pur essendo cittadino inglese. Del resto solo meno
del 2% della popolazione aveva diritto al voto. Gli inglesi avevano
appoggiato l'invasione del Sud anche con le loro navi. Il Regno delle
due Sicilie deteneva il monopolio dello zolfo, essenziale per i
battelli a vapore, e l'Inghilterra voleva metterci sopra le mani.
In più, gli industriali piemontesi avevano tutto l'interesse nella
distruzione delle industrie borboniche, molto quotate
internazionalmente e fortemente competitive.
Quando i siciliani che avevano appoggiato i Mille, credendo che i
"liberatori" avrebbero provveduto a una redistribuzione di terre, si
appropriarono di alcuni appezzamenti a Bronte e a Villalba, Bixio
ricevette l'ordine di procedere a una spietata repressione. Quelle
terre appartenevano a inglesi. Una, in particolare, al padre delle
scrittrici Charlotte ed Emily, appunto, Bronte. Ultima stranezza
(ma non troppo): Garibaldi, Mazzini, De Amicis e molti dei "padri della
patria" erano spiritisti. A chiarire che si trattava esattamente di
un'espansione piemontese il nuovo Re d'Italia, Vittorio Emanuele, non
fu "primo", ma rimase "secondo". Vittorio Emanuele Il, Re
(adesso anche) d'Italia.
http://fantpolitik.blogspot.com/2007/12/risorgimento-quello-che-non-si-pu.html
Storia d'Abruzzo
La storia dell'Abruzzo riguarda le vicende storiche relative all'Abruzzo
Allegoria dell'Abruzzo, dall'Iconologia di Cesare Ripa
L'Abruzzo è una regione per gran parte montuosa nell'Appennino centrale. Le sue valli montane sono aperte verso sud e la mettono in comunicazione con il basso Lazio la Campania e la Puglia. Di conseguenza la storia dell'Abruzzo è strettamente legata alla restante parte dell'Italia meridionale con cui condivide in particolare otto secoli di appartenenza ad una comune nazione (Regno delle Due Sicilie).
Storicamente il nome Abruzzo deriva dal nome della contea dell'Aprutium, situata nel teramano, e a sua volta il nome Aprutium deriva dall'antico popolo dei pretuzi che popolava quel territorio.
L'Abruzzo nel corso della storia non è mai stato un territorio unitario. Anticamente era diviso tra un gran numero di popoli tra i quali Marsi, Vestini, Peligni, Marrucini, Frentani.
Nel corso dei secoli l'Abruzzo era spesso diviso in due regioni: l'una a nord del fiume Aterno e l'altra a sud del fiume. Questa divisione era seguita dalle due regioni augustee Picenum e Samnium. Nel Medioevo lo stesso confine sull'Aterno divideva i due ducati longobardi di Spoleto e Benevento. E dal XIII secolo le due regioni venivano chiamate Abruzzo-Citeriore e Abruzzo-Ulteriore. La divisione naturale del territorio abruzzese si è riproposta recentemente col distacco della regione Molise.
Non esistendo un centro politico, le numerose città dell'Abruzzo, di antichissime origini e brillante civiltà, seguirono ciascuna la propria storia indipendentemente. Così Marruvium e Corfinium furono centri preromani, Atri e Amiternum fiorirono sotto l'impero romano, Sulmona e L'Aquila fiorirono nel Medioevo, mentre Pescara appartiene alla storia moderna.
Di seguito si espone la storia cronologica dell'Abruzzo divisa per periodi storici rilevanti.
La Preistoria
La presenza dell'uomo in Abruzzo è documentata fin dall'età paleolitica. In quell'epoca gli insediamenti umani erano numerosi e sparsi in tutta la Regione. Nei pressi di Chieti e di Popoli sono stati fatti ritrovamenti importanti: strumenti litici di ogni tipo ed ossa di animali lavorate. Il Mesolitico non ha lasciato tracce significative. Di epoca neolitica è invece il celebre insediamento di Ripoli (2.200 a.C. circa), nella valle del torrente Vibrata, vicino Corropoli. Si tratta di un grande villaggio di capanne in cui si producevano ceramiche dipinte. Queste ceramiche hanno contraddistinto un particolare tipo di cultura la quale si diffuse in molte zone d'Abruzzo (Val di Sangro, litorale di Fossacesia ecc.). Molti reperti sono ancora conservati al Museo di Chieti. La popolazione di Ripoli era stanziale e praticava l'inumazione. Era dedita oltre che all'allevamento ed all'agricoltura anche al commercio. Altri insediamenti neolitici importanti si trovano a Lama dei Peligni, Lanciano e Bolognano. Diversi siti hanno restituito tracce legate alla pratica di culti neolitici in Abruzzo e si trovano sia in grotta che in abitato e riguardano il Neolitico antico, medio e recente. Dell'Eneolitico restano testimonianze importanti nella piana del Fucino che segna anche il sorgere della cultura appenninica in Abruzzo. Tipiche di questa cultura sono le ceramiche nere con incisioni geometriche e una gran quantità di strumenti ed oggetti in bronzo. La cultura appenninica si sviluppò infatti in Abruzzo durante l'età del bronzo medio (a partire dal 1500 a.C.).
Prime notizie
11 maggio 1181 a.C. mitica fondazione di Teate (Chieti) da parte dei guerrieri Achei seguaci di Achille nella guerra di Troia. Il piede di Achille viene rappresentato ancora oggi nello stemma della città di Chieti.
1180 a.C. l'antico eroe troiano Solima, compagno di Enea, miticamente fondò le città di Solima-Sulmo (Sulmona) e di Anxia-Anxanon-Anxanum-Lanzano (Lanciano) quest'ultima ebbe nome in memoria di Anxa fratello di Solima
1000 a.C. mitica fondazione dai fenici di Petrut-Pretut-Interamnea Pretutia/Pretutianum-Pretutia (Teramo)
fondazione dai liburni di Truentum-Castrum Truentinum
fondazione di Hatria (Atri). La città, per la sua importanza, darà il nome al mare Adriatico.
fondazione dai sabini di Amiternum
Strada romana ad Alba FucensVIII - VI secolo a.C. Popolamento dell'appennino abruzzese da parte di popoli pastorali sabini, seguendo il rito del Ver Sacrum (primavera sacra), con il quale si consacravano agli dei i nati durante la primavera. Essi, una volta divenuti adulti, lasciavano il proprio territorio per colonizzare una nuova terra, costituendo così un nuovo popolo. Le nuove tribù si consacravano nel nome di una divinità: Pico per i piceni, Marte per i marsi, Vesta per i vestini
La romanizzazione
435 i romani conquistano Anxanum che diviene prima colonia romana e poi municipium
325 a.C. nel corso della seconda guerra sannitica, una coalizione di vestini, peligni, marrucini e frentani viene sconfitta dai romani
290 dopo la battaglia di Camerino, tra piceni-romani contro i sanniti, le popolazioni dell'Abruzzo entrano a far parte come alleati dello stato romano
91- 89 a.C. Nella Guerra sociale contro Roma gli italici mettono in campo un esercito di 100.000 guerrieri, il gruppo dei Marsi è capeggiato da Quinto Poppedio Silone.
91 a.C. Corfinium è la capitale della lega italica. È di questo periodo la prima attestazione storica del nome "Italia", rinvenuto infatti per la prima volta su una moneta della lega sociale con capitale a Corfinium.
89 a.C. la Lex Plautia Papiria da la cittadinanza romana a tutti i popoli italici
costruzione delle strade romane: via Valeria, via Cecilia, via Claudia, via Traiana
colonie romane a Anxanum, Alba Fucens, Castrum Novum e Castrum Truentum
86 a.C. nascita di Sallustio a Amiternum
76 a.C. nascita di Asinio Pollione a Teate
43 a.C. nascita di Ovidio a Sulmo
Popolazioni italiche in AbruzzoAugusto divide l'Abruzzo tra le regioni Picenum e Samnium
42 d.C. l'imperatore Claudio prosciuga temporaneamente il lago del Fucino
68 terremoto a Teate (l'attuale Chieti)
101 terremoto a San Valentino in Abruzzo Citeriore
Il primo Medioevo 500-520
Risale al Medioevo prima menzione del toponimo Aprutium (Abruzzo), derivato dal nome del territorio romano Pretutium nel teramano, incluso anticamente nel Piceno. La Guerra gotica distrugge gran parte delle città, ma ancora non sconvolge l'assetto del territorio compreso per la maggior parte nella tardo-imperiale regione suburbicaria Valeria, che escludeva però all'incirca l'attuale provincia di Teramo, compresa nel Picenum, e buona parte della bassa provincia dell'Aquila che invece apparteneva al Samnium.
La resistenza imperiale si concentrerà nelle città di Amiternum (Pescara), Histonium (Vasto), Ortona, baluardi bizantini in collegamento con la Pentapoli marchigiana. In questo periodo però sembra inizino ad interrompersi le fiorenti rotte della transumanza, con la crisi di importanti centri interni dell'industria ovina quali p.sso l'Aquila: Amiternum, Foruli (Civitatomassa) e Forcona (Civita di Bagno); Corfinium (Corfinio) vicino Sulmona, in favore di un cospicuo aumento della superficie boschiva e quindi probabilmente dell'allevamento di animali da cortile.
VIII secolo
I longobardi dividono l'Abruzzo tra i ducati di Spoleto e Benevento, un grosso gruppo di germanici longobardi colonizza la valle dell'Aterno; anche le città costiere bizantine, che inizialmente resistono ai barbari, cedono a Grimoaldo I duca di Benevento nella seconda metà del V secolo. Nell'ordinamento longobardo, il gastaldato o gastaldia era una circoscrizione amministrativa governata da un funzionario della corte regia, il gastaldo o castaldo, delegato ad operare in ambito civile, militare e giudiziario.
L'odierno Abruzzo venne suddiviso dai Longobardi in sette gastaldati: Marsi, Amiterno, Forcona, Valva, Teate, Penne e Aprutium ripartiti nel Ducato di Spoleto (la Marsica e il territorio a nord del fiume Aternum oggi Pescara) e nel Ducato di Benevento (grosso modo la provincia di Chieti). Più che in altri luoghi d'Italia, la toponomastica abruzzese presenta forti tracce longobarde: fara e guardia (Fara San Martino, Guardiagrele, che si possono tradurre col termine latino castrum, postazione militare), sala, sgurgola, sono tutti termini militari longobardi. Al definitivo abbandono delle più importanti città romane attorno alle quali nacquero i gastaldati (Alba Fuscens, Amiternum, Corfinium) corrisponde la controtendenza di Sulmona e Chieti, le uniche città in cui l'assetto urbano del centro storico ancora oggi ricalca gran parte il tessuto viario romano.
Monachesimo e incastellamento
Dalla disgregazione dei sistemi cittadini due nuovi sistemi di antropizzazione si incrementano vicendevolmente in Abruzzo. L'economia d'età imperiale è rimpiazzata dall'economia rurale che ruota attorno a piccoli centri prevalentemente a carattere servile, che curano il dissodamento e la coltivazione degli appezzamenti di terreno degli antichi agri civici romani, o delle ville; ai contadini viene man mano concessa una certa libertà, visto l'aumento dei costi per l'approvvigionamento degli schiavi; non godendo di autonomia politica, si innestano su questi centri il dominio, le tutele e i diritti fondiari di feudatari e delle abbazie prima di Montecassino e San Vincenzo al Volturno, poi di San Clemente a Casauria, fondata nell'871. La frammentazione politica, la necessità di accentrare la popolazione per una gestione più razionale dei territori in fase di dissodamento sono le cause principali della nascita dei castra, centri fortificati attorno ad una fortificazione in cui in germe troviamo già le prime forme di signoria o aristocrazia fondiaria: sono esempio Balsorano, Castel di Sangro, Capestrano, Celano, Massa d'Albe, Pacentro, Tagliacozzo, in provincia dell'Aquila; Alanno, Popoli, Tocco da Casauria, in provincia di Pescara; Bisenti, Borrello, Casoli, Canzano, nelle province di Teramo e Chieti. Lungo la costa sopravvivono le città di Teate e Pinna.
754 Pipino III, padre di Carlo Magno, distrugge Teate
920 l'Abbazia di San Clemente a Casauria viene saccheggiata dai saraceni
950 inizia la dinastia dei conti dei Marsi
XI secolo nascita di San Berardo dei Marsi
La rinascita della costa
Nel X secolo i Bizantini riconquistano la Puglia settentrionale e il Gargano, ridando impulso allo sviluppo dei centri costieri che aprono al commercio marittimo le comunità agrarie della retrostante regione collinare. Gli sconvolgimenti politici del territorio Bizantino XI secolo sono estranei ai porti abruzzesi, i quali possono sfruttare a loro vantaggio la crescente domanda di viveri da parte di Venezia con la quale inizia una discreta relazione commerciale fino al consolidamento delle città portuali che avverrà con Federico II.
19 dicembre 1122 nasce San Berardo da Pagliara
1144 Prima menzione del Molise. Il conte di Bojano Ugo II, assume il titolo di conte di Molise. Deriva dal nome del capostipite della dinastia normanna dei conti di Bojano, Raoul de' Moulins, italianizzato in Rodolfo de Molisio.
Dagli Svevi agli Angioini
XII secolo, il territorio dell'Abruzzo coi normanni entra a far parte del regno di Sicilia
1222 Federico II di Svevia distrugge Celano, e riunifica l'Abruzzo in un'unica provincia con capoluogo Sulmona. Era costituita dal territorio dei sette antichi gastaldati longobardi, e il gastaldato dell'Aprutium dava il nome all'intera provincia.
Durante il regno di Federico II si ebbe la costruzione di eccezionali opere civili, come l'acquedotto medioevale di Sulmona, uno dei monumenti dell'epoca più importanti dell'Abruzzo.
1230 Federico II fonda la città di Aquila (L'Aquila).
1233 Federico II con la Costituzioni di Melfi del 1231 istituisce 11 Giustizierati, quello d'Abruzzo con sede a Sulmona, fu attivo solo nell'anno 1233.
23 agosto 1268 Battaglia di Tagliacozzo (o di Scurcola, o dei Piani Palentini), battaglia citata da Dante tra ghibellini e angioini: Corradino di Svevia imperatore del Sacro Romano Impero, viene sconfitto da Carlo I d'Angiò re di Sicilia.
1273 Carlo I d'Angiò divide il territorio tra l'Aprutium Ulteriore e Citeriore. Il 5 ottobre 1273 Carlo I d'Angiò sancì col diploma di Alife la suddivisione dell'Abruzzo, considerato un distretto troppo esteso per essere ben amministrato e difeso, trovandosi all'estremo limite settentrionale del regno. Si preferì seguire un confine naturale, il corso del fiume Pescara, determinando a nord il Giustizierato d'Abruzzo Ulteriore (Ultra flumine Piscaria) ed a sud il Giustizierato d'Abruzzo Citeriore (Citra flumine Piscaria).
Pietro da Morrone
1239 L'asceta Pietro da Morrone si ritira in eremitaggio in una caverna del monte Morrone presso Sulmona
1244 Pietro da Morrone fonda la Congregazione dei frati celestini
24 agosto 1294 Pietro da Morrone viene eletto papa col nome di Celestino V, l'investitura avviene nella chiesa di Santa Maria di Collemaggio a L'Aquila.
Uno dei primi atti ufficiali del nuovo papa fu l'emissione della cosiddetta Bolla del Perdono, bolla che elargisce l'indulgenza plenaria a tutti coloro che confessati e pentiti dei propri peccati si rechino nella basilica di Santa Maria di Collemaggio della città di L'Aquila dai vespri del 28 agosto al tramonto del 29. In pratica Celestino V istituì a Collemaggio il primo vero Giubileo, successivamente copiato dal successore (per molti usurpatore) per bloccare l'afflusso di pellegrini verso Aquila. Fu così istituita la Perdonanza, celebrazione religiosa ancora oggi tenuta nel capoluogo abruzzese.
Il nuovo Pontefice si affidò, incondizionatamente, nelle mani di Carlo d'Angiò, nominandolo "maresciallo" del futuro Conclave. Ratificò immediatamente il trattato tra Carlo d'Angiò e Giacomo d'Aragona, mediante il quale fu stabilito che, alla morte di quest'ultimo, la Sicilia sarebbe ritornata agli angioini.
18 settembre 1294 indisse il suo primo e unico Concistoro, nominando ben 13 nuovi Cardinali.
Dietro consiglio di Carlo d'Angiò, trasferì la sede della Curia da L'Aquila a Napoli fissando la sua residenza in Castel Nuovo, ove fu allestita una piccola stanza, arredata in modo molto spartano e dove egli si ritirava spesso a pregare e a meditare.
13 dicembre 1294. Circa quattro mesi dopo la sua incoronazione, nonostante i numerosi tentativi di dissuasione avanzati da Carlo d'Angiò, il 13 dicembre 1294, Celestino V, nel corso di un Concistoro, diede lettura di una bolla, appositamente preparata per l'occasione, nella quale si contemplava la possibilità di una abdicazione del Pontefice per gravi motivi. Dopo di che recitò la formula della rinuncia al Soglio Pontificio.
Pietro da Morrone, dopo l'abdicazione, fu rinchiuso nella rocca di Fumone, in Ciociaria, ove morì il 19 maggio 1296.
Temporaneamente trovò sepoltura nel monastero di Sant'Antonio a Ferentino. In seguito le sue spoglie furono traslate nella basilica di Santa Maria di Collemaggio, presso L'Aquila; nella chiesa, cioè, ove era stato incoronato Papa. Pochi anni dopo fu canonizzato da papa Clemente V, a seguito di sollecitazione da parte del re Filippo IV di Francia.
http://it.wikipedia.org/wiki/Storia_dell'Abruzzo
Allegoria dell'Abruzzo, dall'Iconologia di Cesare Ripa
L'Abruzzo è una regione per gran parte montuosa nell'Appennino centrale. Le sue valli montane sono aperte verso sud e la mettono in comunicazione con il basso Lazio la Campania e la Puglia. Di conseguenza la storia dell'Abruzzo è strettamente legata alla restante parte dell'Italia meridionale con cui condivide in particolare otto secoli di appartenenza ad una comune nazione (Regno delle Due Sicilie).
Storicamente il nome Abruzzo deriva dal nome della contea dell'Aprutium, situata nel teramano, e a sua volta il nome Aprutium deriva dall'antico popolo dei pretuzi che popolava quel territorio.
L'Abruzzo nel corso della storia non è mai stato un territorio unitario. Anticamente era diviso tra un gran numero di popoli tra i quali Marsi, Vestini, Peligni, Marrucini, Frentani.
Nel corso dei secoli l'Abruzzo era spesso diviso in due regioni: l'una a nord del fiume Aterno e l'altra a sud del fiume. Questa divisione era seguita dalle due regioni augustee Picenum e Samnium. Nel Medioevo lo stesso confine sull'Aterno divideva i due ducati longobardi di Spoleto e Benevento. E dal XIII secolo le due regioni venivano chiamate Abruzzo-Citeriore e Abruzzo-Ulteriore. La divisione naturale del territorio abruzzese si è riproposta recentemente col distacco della regione Molise.
Non esistendo un centro politico, le numerose città dell'Abruzzo, di antichissime origini e brillante civiltà, seguirono ciascuna la propria storia indipendentemente. Così Marruvium e Corfinium furono centri preromani, Atri e Amiternum fiorirono sotto l'impero romano, Sulmona e L'Aquila fiorirono nel Medioevo, mentre Pescara appartiene alla storia moderna.
Di seguito si espone la storia cronologica dell'Abruzzo divisa per periodi storici rilevanti.
La Preistoria
La presenza dell'uomo in Abruzzo è documentata fin dall'età paleolitica. In quell'epoca gli insediamenti umani erano numerosi e sparsi in tutta la Regione. Nei pressi di Chieti e di Popoli sono stati fatti ritrovamenti importanti: strumenti litici di ogni tipo ed ossa di animali lavorate. Il Mesolitico non ha lasciato tracce significative. Di epoca neolitica è invece il celebre insediamento di Ripoli (2.200 a.C. circa), nella valle del torrente Vibrata, vicino Corropoli. Si tratta di un grande villaggio di capanne in cui si producevano ceramiche dipinte. Queste ceramiche hanno contraddistinto un particolare tipo di cultura la quale si diffuse in molte zone d'Abruzzo (Val di Sangro, litorale di Fossacesia ecc.). Molti reperti sono ancora conservati al Museo di Chieti. La popolazione di Ripoli era stanziale e praticava l'inumazione. Era dedita oltre che all'allevamento ed all'agricoltura anche al commercio. Altri insediamenti neolitici importanti si trovano a Lama dei Peligni, Lanciano e Bolognano. Diversi siti hanno restituito tracce legate alla pratica di culti neolitici in Abruzzo e si trovano sia in grotta che in abitato e riguardano il Neolitico antico, medio e recente. Dell'Eneolitico restano testimonianze importanti nella piana del Fucino che segna anche il sorgere della cultura appenninica in Abruzzo. Tipiche di questa cultura sono le ceramiche nere con incisioni geometriche e una gran quantità di strumenti ed oggetti in bronzo. La cultura appenninica si sviluppò infatti in Abruzzo durante l'età del bronzo medio (a partire dal 1500 a.C.).
Prime notizie
11 maggio 1181 a.C. mitica fondazione di Teate (Chieti) da parte dei guerrieri Achei seguaci di Achille nella guerra di Troia. Il piede di Achille viene rappresentato ancora oggi nello stemma della città di Chieti.
1180 a.C. l'antico eroe troiano Solima, compagno di Enea, miticamente fondò le città di Solima-Sulmo (Sulmona) e di Anxia-Anxanon-Anxanum-Lanzano (Lanciano) quest'ultima ebbe nome in memoria di Anxa fratello di Solima
1000 a.C. mitica fondazione dai fenici di Petrut-Pretut-Interamnea Pretutia/Pretutianum-Pretutia (Teramo)
fondazione dai liburni di Truentum-Castrum Truentinum
fondazione di Hatria (Atri). La città, per la sua importanza, darà il nome al mare Adriatico.
fondazione dai sabini di Amiternum
Strada romana ad Alba FucensVIII - VI secolo a.C. Popolamento dell'appennino abruzzese da parte di popoli pastorali sabini, seguendo il rito del Ver Sacrum (primavera sacra), con il quale si consacravano agli dei i nati durante la primavera. Essi, una volta divenuti adulti, lasciavano il proprio territorio per colonizzare una nuova terra, costituendo così un nuovo popolo. Le nuove tribù si consacravano nel nome di una divinità: Pico per i piceni, Marte per i marsi, Vesta per i vestini
La romanizzazione
435 i romani conquistano Anxanum che diviene prima colonia romana e poi municipium
325 a.C. nel corso della seconda guerra sannitica, una coalizione di vestini, peligni, marrucini e frentani viene sconfitta dai romani
290 dopo la battaglia di Camerino, tra piceni-romani contro i sanniti, le popolazioni dell'Abruzzo entrano a far parte come alleati dello stato romano
91- 89 a.C. Nella Guerra sociale contro Roma gli italici mettono in campo un esercito di 100.000 guerrieri, il gruppo dei Marsi è capeggiato da Quinto Poppedio Silone.
91 a.C. Corfinium è la capitale della lega italica. È di questo periodo la prima attestazione storica del nome "Italia", rinvenuto infatti per la prima volta su una moneta della lega sociale con capitale a Corfinium.
89 a.C. la Lex Plautia Papiria da la cittadinanza romana a tutti i popoli italici
costruzione delle strade romane: via Valeria, via Cecilia, via Claudia, via Traiana
colonie romane a Anxanum, Alba Fucens, Castrum Novum e Castrum Truentum
86 a.C. nascita di Sallustio a Amiternum
76 a.C. nascita di Asinio Pollione a Teate
43 a.C. nascita di Ovidio a Sulmo
Popolazioni italiche in AbruzzoAugusto divide l'Abruzzo tra le regioni Picenum e Samnium
42 d.C. l'imperatore Claudio prosciuga temporaneamente il lago del Fucino
68 terremoto a Teate (l'attuale Chieti)
101 terremoto a San Valentino in Abruzzo Citeriore
Il primo Medioevo 500-520
Risale al Medioevo prima menzione del toponimo Aprutium (Abruzzo), derivato dal nome del territorio romano Pretutium nel teramano, incluso anticamente nel Piceno. La Guerra gotica distrugge gran parte delle città, ma ancora non sconvolge l'assetto del territorio compreso per la maggior parte nella tardo-imperiale regione suburbicaria Valeria, che escludeva però all'incirca l'attuale provincia di Teramo, compresa nel Picenum, e buona parte della bassa provincia dell'Aquila che invece apparteneva al Samnium.
La resistenza imperiale si concentrerà nelle città di Amiternum (Pescara), Histonium (Vasto), Ortona, baluardi bizantini in collegamento con la Pentapoli marchigiana. In questo periodo però sembra inizino ad interrompersi le fiorenti rotte della transumanza, con la crisi di importanti centri interni dell'industria ovina quali p.sso l'Aquila: Amiternum, Foruli (Civitatomassa) e Forcona (Civita di Bagno); Corfinium (Corfinio) vicino Sulmona, in favore di un cospicuo aumento della superficie boschiva e quindi probabilmente dell'allevamento di animali da cortile.
VIII secolo
I longobardi dividono l'Abruzzo tra i ducati di Spoleto e Benevento, un grosso gruppo di germanici longobardi colonizza la valle dell'Aterno; anche le città costiere bizantine, che inizialmente resistono ai barbari, cedono a Grimoaldo I duca di Benevento nella seconda metà del V secolo. Nell'ordinamento longobardo, il gastaldato o gastaldia era una circoscrizione amministrativa governata da un funzionario della corte regia, il gastaldo o castaldo, delegato ad operare in ambito civile, militare e giudiziario.
L'odierno Abruzzo venne suddiviso dai Longobardi in sette gastaldati: Marsi, Amiterno, Forcona, Valva, Teate, Penne e Aprutium ripartiti nel Ducato di Spoleto (la Marsica e il territorio a nord del fiume Aternum oggi Pescara) e nel Ducato di Benevento (grosso modo la provincia di Chieti). Più che in altri luoghi d'Italia, la toponomastica abruzzese presenta forti tracce longobarde: fara e guardia (Fara San Martino, Guardiagrele, che si possono tradurre col termine latino castrum, postazione militare), sala, sgurgola, sono tutti termini militari longobardi. Al definitivo abbandono delle più importanti città romane attorno alle quali nacquero i gastaldati (Alba Fuscens, Amiternum, Corfinium) corrisponde la controtendenza di Sulmona e Chieti, le uniche città in cui l'assetto urbano del centro storico ancora oggi ricalca gran parte il tessuto viario romano.
Monachesimo e incastellamento
Dalla disgregazione dei sistemi cittadini due nuovi sistemi di antropizzazione si incrementano vicendevolmente in Abruzzo. L'economia d'età imperiale è rimpiazzata dall'economia rurale che ruota attorno a piccoli centri prevalentemente a carattere servile, che curano il dissodamento e la coltivazione degli appezzamenti di terreno degli antichi agri civici romani, o delle ville; ai contadini viene man mano concessa una certa libertà, visto l'aumento dei costi per l'approvvigionamento degli schiavi; non godendo di autonomia politica, si innestano su questi centri il dominio, le tutele e i diritti fondiari di feudatari e delle abbazie prima di Montecassino e San Vincenzo al Volturno, poi di San Clemente a Casauria, fondata nell'871. La frammentazione politica, la necessità di accentrare la popolazione per una gestione più razionale dei territori in fase di dissodamento sono le cause principali della nascita dei castra, centri fortificati attorno ad una fortificazione in cui in germe troviamo già le prime forme di signoria o aristocrazia fondiaria: sono esempio Balsorano, Castel di Sangro, Capestrano, Celano, Massa d'Albe, Pacentro, Tagliacozzo, in provincia dell'Aquila; Alanno, Popoli, Tocco da Casauria, in provincia di Pescara; Bisenti, Borrello, Casoli, Canzano, nelle province di Teramo e Chieti. Lungo la costa sopravvivono le città di Teate e Pinna.
754 Pipino III, padre di Carlo Magno, distrugge Teate
920 l'Abbazia di San Clemente a Casauria viene saccheggiata dai saraceni
950 inizia la dinastia dei conti dei Marsi
XI secolo nascita di San Berardo dei Marsi
La rinascita della costa
Nel X secolo i Bizantini riconquistano la Puglia settentrionale e il Gargano, ridando impulso allo sviluppo dei centri costieri che aprono al commercio marittimo le comunità agrarie della retrostante regione collinare. Gli sconvolgimenti politici del territorio Bizantino XI secolo sono estranei ai porti abruzzesi, i quali possono sfruttare a loro vantaggio la crescente domanda di viveri da parte di Venezia con la quale inizia una discreta relazione commerciale fino al consolidamento delle città portuali che avverrà con Federico II.
19 dicembre 1122 nasce San Berardo da Pagliara
1144 Prima menzione del Molise. Il conte di Bojano Ugo II, assume il titolo di conte di Molise. Deriva dal nome del capostipite della dinastia normanna dei conti di Bojano, Raoul de' Moulins, italianizzato in Rodolfo de Molisio.
Dagli Svevi agli Angioini
XII secolo, il territorio dell'Abruzzo coi normanni entra a far parte del regno di Sicilia
1222 Federico II di Svevia distrugge Celano, e riunifica l'Abruzzo in un'unica provincia con capoluogo Sulmona. Era costituita dal territorio dei sette antichi gastaldati longobardi, e il gastaldato dell'Aprutium dava il nome all'intera provincia.
Durante il regno di Federico II si ebbe la costruzione di eccezionali opere civili, come l'acquedotto medioevale di Sulmona, uno dei monumenti dell'epoca più importanti dell'Abruzzo.
1230 Federico II fonda la città di Aquila (L'Aquila).
1233 Federico II con la Costituzioni di Melfi del 1231 istituisce 11 Giustizierati, quello d'Abruzzo con sede a Sulmona, fu attivo solo nell'anno 1233.
23 agosto 1268 Battaglia di Tagliacozzo (o di Scurcola, o dei Piani Palentini), battaglia citata da Dante tra ghibellini e angioini: Corradino di Svevia imperatore del Sacro Romano Impero, viene sconfitto da Carlo I d'Angiò re di Sicilia.
1273 Carlo I d'Angiò divide il territorio tra l'Aprutium Ulteriore e Citeriore. Il 5 ottobre 1273 Carlo I d'Angiò sancì col diploma di Alife la suddivisione dell'Abruzzo, considerato un distretto troppo esteso per essere ben amministrato e difeso, trovandosi all'estremo limite settentrionale del regno. Si preferì seguire un confine naturale, il corso del fiume Pescara, determinando a nord il Giustizierato d'Abruzzo Ulteriore (Ultra flumine Piscaria) ed a sud il Giustizierato d'Abruzzo Citeriore (Citra flumine Piscaria).
Pietro da Morrone
1239 L'asceta Pietro da Morrone si ritira in eremitaggio in una caverna del monte Morrone presso Sulmona
1244 Pietro da Morrone fonda la Congregazione dei frati celestini
24 agosto 1294 Pietro da Morrone viene eletto papa col nome di Celestino V, l'investitura avviene nella chiesa di Santa Maria di Collemaggio a L'Aquila.
Uno dei primi atti ufficiali del nuovo papa fu l'emissione della cosiddetta Bolla del Perdono, bolla che elargisce l'indulgenza plenaria a tutti coloro che confessati e pentiti dei propri peccati si rechino nella basilica di Santa Maria di Collemaggio della città di L'Aquila dai vespri del 28 agosto al tramonto del 29. In pratica Celestino V istituì a Collemaggio il primo vero Giubileo, successivamente copiato dal successore (per molti usurpatore) per bloccare l'afflusso di pellegrini verso Aquila. Fu così istituita la Perdonanza, celebrazione religiosa ancora oggi tenuta nel capoluogo abruzzese.
Il nuovo Pontefice si affidò, incondizionatamente, nelle mani di Carlo d'Angiò, nominandolo "maresciallo" del futuro Conclave. Ratificò immediatamente il trattato tra Carlo d'Angiò e Giacomo d'Aragona, mediante il quale fu stabilito che, alla morte di quest'ultimo, la Sicilia sarebbe ritornata agli angioini.
18 settembre 1294 indisse il suo primo e unico Concistoro, nominando ben 13 nuovi Cardinali.
Dietro consiglio di Carlo d'Angiò, trasferì la sede della Curia da L'Aquila a Napoli fissando la sua residenza in Castel Nuovo, ove fu allestita una piccola stanza, arredata in modo molto spartano e dove egli si ritirava spesso a pregare e a meditare.
13 dicembre 1294. Circa quattro mesi dopo la sua incoronazione, nonostante i numerosi tentativi di dissuasione avanzati da Carlo d'Angiò, il 13 dicembre 1294, Celestino V, nel corso di un Concistoro, diede lettura di una bolla, appositamente preparata per l'occasione, nella quale si contemplava la possibilità di una abdicazione del Pontefice per gravi motivi. Dopo di che recitò la formula della rinuncia al Soglio Pontificio.
Pietro da Morrone, dopo l'abdicazione, fu rinchiuso nella rocca di Fumone, in Ciociaria, ove morì il 19 maggio 1296.
http://it.wikipedia.org/wiki/Storia_dell'Abruzzo
sabato 13 novembre 2010
dialetti d'Abruzzo
L'isoglossa fondamentale (indebolimento delle vocali atone) che serve, secondo la più parte degli autori[1] a distinguere i dialetti italiani meridionali da quelli mediani attraversa l'Abruzzo, partendo da Campotosto, toccando le frazioni dell'estrema periferia della città dell'Aquila, cioè Assergi (già ascrivibile però al dominio abruzzese), Camarda, Paganica e Pianola, per poi scendere più a sud ed attraversare alcune frazioni di Avezzano, cioè San Pelino, Antrosano e Cese, fino a giungere intorno a Canistro al confine con l'area ciociara.
Dunque, i dialetti abruzzesi possono essere suddivisi in 3 gruppi, il secondo dei quali ulteriormente ramificato, e a loro volta articolati in 7 aree complessive:
Sabino (dialetti italiani centrali)
Aquilano, nell'antico contado amiternino, cioè a nord e ad ovest della città dell'Aquila, essa inclusa, salvo la frazione di Assergi, che però linguisticamente parte da Accumoli, nel reatino, comprende la valle del Velino, con i centri di Amatrice, Antrodoco, Cittaducale, fino a tutta la provincia di Rieti [6]ed inoltrandosi in parte di quella di Terni;
Carseolano, attorno a Carsoli fra la Marsica e la valle dell'Aniene (Lazio);
Tagliacozzano, limitato a Tagliacozzo e alle località del suo circondario (Castellafiume, Scurcola Marsicana), ed esteso fino alle frazioni periferiche di Avezzano (San Pelino, Antrosano e Cese).
Tratto qualificante di questo gruppo dialettale è la conservazione delle vocali finali atone. In particolare nel dominio reatino-aquilano, area tradizionalmente conservativa, viene tuttora mantenuta la distizione fra -o ed -u finali, a seconda dell'originaria matrice latina: ad esempio all'Aquila si ha cavaju per "cavallo" (latino volgare *CABALLU(M)), ma scrio per "io scrivo" (lat. volg. *SCRĪBŌ). Ad occidente del suddetto dominio si estendono le parlate dei Piani Palentini, con centri di irradiazione quali Carsoli e Tagliacozzo, la cui punta più a sud, a contatto con l'area abruzzese della Marsica, è San Pelino, frazione di Avezzano: a ridosso dell'area laziale, queste parlate sono caratterizzate dalla confluenza delle vocali originali latine -u ed -o nell'unico esito -o (cavajo, fijo), ma come il sabino possiedono il medesimo sistema vocalico, fonetico e morfologico.
Abruzzese occidentale (dialetti italiani meridionali)
Marsicano e Aquilano orientale, il primo parlato nella Marsica (estendendosi a settentrione fino all'Altopiano delle Rocche: il confine dialettale passa infatti all'interno del comune di Rocca di Mezzo) e il secondo, ad est della città dell'Aquila, a partire dalla frazione di Assergi, e a Bagno (antico contado forconese);
Peligno, parlato nel circondario di Sulmona (L'Aquila) e nell'area pescarese appena ad est delle gole di Popoli (Tocco da Casauria), suddiviso, come si vedrà più tardi, in Peligno occidentale, che conserva la -a finale, e in Peligno orientale, che la indebolisce ad -ë e presenta metafonesi di -a.
Abruzzese orientale-adriatico (dialetti italiani meridionali)
Ascolano, parlato nei comuni della Val Vibrata a confine fra le province di Teramo e Ascoli Piceno, e in particolare nei comuni di Valle Castellana, Sant'Egidio alla Vibrata, Ancarano, Controguerra e Torano Nuovo, mentre il limite settentrionale giunge nella della provincia di Ascoli Piceno fino al fiume Aso arrestandosi al comune di Pedaso.
Vibratiano, una sottovariante di transizione tra Ascolano e Teramano contraddistinta da forti peculiarità fonetico-lessicali e limitata ai centri di Civitella del Tronto, Nereto, Corropoli e Colonnella.
Abruzzese adriatico, relativamente omogeneo fino alla dorsale appenninica, parlato nel grosso delle province di Teramo, Pescara e Chieti, che presenta le maggiori differenze nel campo della pronuncia vocalica, al punto che può essere ulteriormente suddiviso in: Teramano-Atriano (tra Rocca Santa Maria, Campli, Sant'Omero, Martinsicuro e Silvi), Pennese (tra Castelli, Montefino e Loreto Aprutino, Pescarese tra Città Sant'Angelo, Alanno e Pescara), Chietino occidentale (con isocronismo sillabico completo, tra San Giovanni Teatino, San Valentino in Abruzzo Citeriore, Guardiagrele e Fara San Martino), Chietino orientale (tra Francavilla al mare, Ortona, Bucchianico e Crecchio), Lancianese (tra San Vito Chietino, Fossacesia e Casoli) e Vastese (tra Casalbordino, Carunchio e San Salvo), con isocronismo parziale.
Si possono consultare esempi delle varianti del dialetto abruzzese adriatico usate nella città di Pescara alla voce Dialetto pescarese, oppure per la provincia di Teramo alla voce Dialetto teramano.
Numerose sono le aree di transizione, per lo più coincidenti con zone conservative e arcaicizzanti della provincia dell'Aquila, come Pescocostanzo ed Ateleta, le aree attorno a Sulmona, Barisciano. A Roccaraso, Castel di Sangro e nella Valle Roveto penetrano forme dialettali strettamente vicine al Campano.
Metafonesi
Questo fenomeno colpisce le vocali toniche é, è, ó, ò (chiuse/aperte) del sistema romanzo comune, quando la vocale finale della parola originaria latina è i oppure u. In particolare, ciò avviene per i sostantivi e gli aggettivi maschili singolari (terminazione latina -um) e plurali (terminazione latina -i), rispetto ai corrispondenti femminili singolari e plurali (terminazioni -a, -ae).
La metafonesi è tipica dell'Italia centro-meridionale, che include le Marche fino alla provincia di Macerata, l'Umbria al di qua del Tevere con Spoleto, Foligno, Terni, e la Sabina fino alle porte di Roma. Invece nel toscano, così come nell'italiano standard, la metafonesi non esiste. L'Abruzzo adriatico costituisce una zona a sé stante, in quanto vi si presenta solo la metafonesi da i finale. Gli esiti delle vocali alterate sono diversi a seconda della zona, ma tuttavia si può dire che dal punto di vista fonetico la metafonia abruzzese sintetizza i processi di elevazione linguale del tipo sardo e napoletano.
La é e la ó passano normalmente a i e, rispettivamente, u. Facendo qualche esempio tratto dalla parlata di Ortona (Chieti), si ha così: nìrë 'neri', ma nérë 'nero', e gëlùsë 'gelosi', ma gëlósë 'geloso'. Le vocali aperte è, ò possono invece avere due esiti differenti. Il primo tipo di metafonesi, talvolta detto "sabino" perché tipico, tra le altre zone, della Sabina ivi compresa L'Aquila, prevede la chiusura di dette vocali a é, ó. Così, all'Aquila si ha: bégliu 'bello', ma bèlla 'bella', e bónu 'buono', ma bòna 'buona'. L'altro tipo di metafonesi è quello "napoletano" o "sannita", tipico di larga parte dell'Italia centro-meridionale. Essa prevede la dittongazione, generalmente con esito ié, uó. Nel dialetto napoletano si ha, ad esempio: viécchjë 'vecchio', ma vècchja 'vecchia', e nuóvë 'nuovo', ma nòva 'nuova'. Molto spesso, il dittongo è ritratto sul primo componente, e così l'esito metafonetico diventa ì, ù. Ciò accade, limitatamente alla metafonesi da -i, ad esempio a Pescara: vìcchjë 'vecchi', o nùvë 'nuovi'.
La situazione in Abruzzo è quanto mai complessa. Il tipo sabino è tipico della macro-area aquilana e di quella marsicana-aquilana orientale, incluse le città dell'Aquila e di Avezzano. La metafonesi sannita domina invece la macro-area peligna, con Sulmona stessa, e quella ascolana. Nell'Abruzzo adriatico, invece, si ha solo metafonesi da -i, di tipo sannita (così a Pescara, Chieti, Teramo, Lanciano, Vasto, Ortona). La situazione è in realtà più complessa di questo semplice schema, con diverse aree di transizione ed eccezioni motivate da particolarità storiche.
Questo perché l'Abruzzo interno è stato investito da due correnti, una a metafonesi sabina, l'altra sannita: la prima, proveniente dall'area umbro-laziale, si estese nei contadi amiternino, forconese e marsicano, la seconda, originaria della zona campano-molisana, interessò il contado valvense, che prima della fondazione de L'Aquila, arrivava fino a Barisciano, per poi interessare solo parzialmente l'area montana vicino Sulmona (in quanto alle porte orientali del capoluogo peligno comincia una piccola area con metafonesi nuovamente sabina, con Marane, frazione di Sulmona, Campo di Giove e Pacentro), e traboccare oltre le gole di Tramonti, in alcune località montane dei contadi pennese e chietino.
Successivamente alla fondazione della diocesi aquilana, la metafonesi sabina riconquistò la zona dell'altopiano peltuinese e della valle del Tirino, oltrepassando Forca di Penne fino a Sant'Eufemia a Maiella, ma non intaccò le aree montane più conservative.
Infine, la metafonesi sannita solo da -i si è probabilmente propagata più tardi rispetto alle precedenti, ed ha interessato l'intera area adriatica per la presenza dell'asse della Salaria ascolana.
La tesi di un'antica metafonia da -u nella fascia adriatica sostenuta dal Rohlfs non è accettabile, perché i pochi esempi riscontrabili sono dovuti ad altre cause, come la palatalizzazione per consonanti contigue, ad esempio in dicìmbrë, oppure per evitare omofonie e confusioni semantiche, come in trappitë "treppiede". Anche le forme ùojë "oggi" e uògnë "ogni" del dialetto di Castelli, da cui ùjë e ùgnë del pescarese-chietino derivano non da metafonesi ma da un gruppo fonetico palatale o da un suono palatale.
Metafonesi di -a
La metafonesi di -a, limitatamente alle finali in -i, assente nel sistema sabino, è un fenomeno da ritenere coevo alla metafonia di -e, -o, perché non è pensabile che un sistema vocalico si modifichi soltanto in parte: è caratteristica dei dialetti abruzzesi, da cui dev'essere partita, diffondendosi a nord nel territorio ascolano, inscindibile dall'area teramana, e secondo il Rohlfs anche a occidente nel Lazio meridionale (Arpino, Castro dei Volsci), saldando così l'Abruzzo occidentale con l'area tirrenica. I risultati sono quanto mai vari: e nel gruppo occidentale, ì (con un timbro intermedio tra é e i) in quello orientale, ia nell'alto Sangro, a Pescocostanzo, nel Piano di Navelli, nell'alto chietino e in parte del Molise. Il fenomeno è evidente paricolarmente sul versante adriatico, vale a dire il Teramano-Atriano, il Pennese-Pescarese con le aree di Forca di Penne e della valle d'Orta, il Chietino occidentale ed orientale, il Lancianese ed il Vastese.
Come esempio, si può prendere la parlata di Chieti, dove si ha lu bardascë, "il bambino", ma li bardiscë, "i bambini"; "parlë" (io parlo, egli parla) ma "pìrlë" (tu parli) ecc. Talvolta, specie nell'area abruzzese-occidentale, per effetto dell'isocronismo sillabico, il timbro si è uniformato agli esiti di -e, e cioè aperto in sillaba chiusa e chiuso in sillaba libera, come ad esempio a Guardiagrele, dove si ha lu canë, li chénë, ma lu pannë, "il panno", ma li pènnë, "i panni".
Inoltre in alcune aree, come a Popoli, per armonizzazione vocalica a metafonizza anche in posizione atona: lu cavàglië, li chèvèglië, lu scarparë, li schèrpérë, ecc.
Metafonia dei femminili
In tutto il dominio chietino-pescarese sono molto diffusi i plurali femminili del tipo bèllë "bella":bìllë "belle", cuntèntë "contenta":cuntìntë "contente",iumèntë "giumenta":iumìntë "giumente", ecc. In genere si può dire che in questa zona i femminili metafonizzano come i maschili e ciò presuppone che il plurale latino -ae, risolvendosi nella vocale indistinta -ë, ha acquistato il timbro di -i, come è rilevabile nella parlata chietina, in cui -ë nel contesto della frase è un chiaro -i: quattri cusë per "quattro cose", sandi Rocchë per "S. Rocco", tótti ddó per "tutti e due".
Non bisogna inoltre dimenticare che nei testi volgari aquilani delle origini era ampiamente documentata la metafonia delle vocali chiuse é, ó dei nomi femminili: in Buccio di Ranallo (XII-XIII secolo) troviamo infatti billizi per "bellezze", nonché i plurali dei nomi femminili in -ione, come presciuni per "prigioni".
Nei dialetti moderni della provincia dell'Aquila si hanno esempi di metafonia dei nomi femminili anche per -e, come nell'aquilano del contado térri per "terre".
Aree metafonetiche
Area sabina - Nel dominio reatino-aquilano-carseolano-tagliacozzano, attestatosi su un vocalismo a quattro gradi, in cui -u finale si continua o si è conguagliata in -o, la metafonesi è determinata dalle vocali finali -u ed -i: ad esempio all'Aquila si ha paése, ma al plurale paìsi, mòrta ma al maschile mórtu, apèrta ma apértu e così via.
Area peligna - Le parlate dell'area peligna metafonizzano, come quelle sabine, date -u ed -i finali, utilizzando però la cosiddetta metafonesi "napoletana" o "sannita": perciò per le vocali aperte è, ò è prevista la dittongazione, generalmente con esito ié, uó, mentre per le chiuse é, ó vi sono i rispettivi esiti i, u. Così a Sulmona si ha vìdevë "vedovo" ma védevë "vedova", e sùocërë "suocero" ma sòcërë "suocera", apìërtë ma apèrtë e così via.
Area adriatica - La zona adriatica, a livello metafonetico, si caratterizza dalle due precedenti perché metafonizza solo dato -i: così a prescindere dalla pronuncia chiusa o aperta delle vocali mediane, gli esiti metafonetici sono sempre ì per è, é e ù per ò, ó. Così si ha mòrtë per "morto, -a" e mùrtë per "morti" e bèllë per "bello, -a" e bìllë per "belli".
Metafonia verbale
In tutto il dominio abruzzese la -i delle desinenze verbali della seconda persona provoca metafonia per tutte le vocali, tranne per -à nell'area aquilano-cicolano-carseolana, nella quale questa vocale non è soggetta a metafonia.
Così in base agli esiti delle vocali sottoposte a metafonia si possono individuare le seguenti aree:
Area aquilana: tu crìi "tu credi", ma créo "credo", tu perduni ma issu perdóna, ecc.
Area peligna: tu mègnë "tu mangi" ma jë màgnë, tu mùovë "tu muovi" ma jë mòvë, ecc.
Area adriatica: tu mìgnë "tu mangi" ma jë màgnë, tu sìndë ma jë sèndë, ecc.
Anche la desinenza -as, che in Abruzzo dovette passare per tempo a -is, produce metafonia: ad esempio all'Aquila si ha issu èra per "egli era" ma tu iri per "tu eri", e così nel resto della regione jë èrë o érë e tu ìrë o ahìrë a seconda dei luoghi.
La desinenza -o della prima persona singolare non produce metafonia in alcuna zona, mentre in certi verbi si verifica un fenomeno solo apparentemente metafonetico perché dovuto ad anafonesi per il nesso N+G: così a Sulmona si hanno le forme vìenghë, stìenghë, dìenghë per "vengo", "sto" e "do", che nel teramano-pescarese suonano come vìnghë, stìnghë, dìnghë, nel lancianese vénghë, sténghë, dénghë, mentre nel dialetto di Chieti si ha solo stìnghë, mentre le altre due forme sono vènghë e dènghë, senza dunque apparente metafonia.
Isocronismo sillabico
Buona parte del sistema vocalico romanzo comune è stato successivamente alterato, in alcune zone, da una corrente linguistica che ha provocato l'apertura in è, ò delle vocali chiuse é, ó in sillaba complicata, ovvero nelle sillabe che terminano con una consonante, e la contemporanea chiusura in é, ó delle vocali aperte è, ò in sillaba libera, ovvero nelle sillabe che terminano con la vocale stessa. Questo fenomeno può essere anche parziale, limitato alla sola chiusura delle toniche aperte in sillaba libera. Un esempio tratto dal dialetto di Pettorano sul Gizio (L'Aquila), che presenta l'isocronismo sillabico in maniera completa è: strèt-ta 'stretta', ma né-ra 'nera', e pé-dë 'piede', ma ròs-cia 'rossa'.
Se si parte dalla considerazione che l'isocronismo fu un'innovazione delle zone centrali della Romània e se si tiene conto del carattere conservativo del vocalismo dell'area sabina, è da supporre che l'isocronismo deve aver subìto un duplice destino: le zone più conservative, come quella reatino-aquilana, in séguito alla maggiore coscienza delle qualità vocaliche d'origine, non hanno operato mutazione, mentre le aree periferiche, come quella adriatica, con minore sensibilità ai tipi vocalici del latino popolare di Roma, e non possedendo la netta opposizione dei timbri, hanno operato dei conguiagli indifferentemente, nel senso dell'apertura e della chiusura.
L'isocronismo è un fenomeno diffuso a partire dai centri montani vicino Sulmona e sul versante adriatico dalla città di Chieti, e non dovrebbe avere relazioni con le analoghe situazioni presenti in Puglia, giacché l'area isocronica che continua quella abruzzese nel Basso Molise si interrompe attorno al fiume Biferno per riprendere poi più a sud. Nelle zone di origine del fenomeno, vige ancora la situazione isocronica completa.
Nel chietino, sono centri con isocronismo completo Chieti, Casalincontrada, Guardiagrele, Pretoro, Ripa Teatina e la bassa valle del Pescara (Manoppello, Turrivalignani): in tali centri è parlato il cosiddetto Chietino-occidentale, che appare come area di saldatura fra l'Abruzzese Orientale-Adriatico e l'Abruzzese Occidentale.
Verso nord, la linea di inizio dell'area isocronica completa è segnata grosso modo dal fiume Pescara, al di là del quale si estende fino alla provincia di Teramo un'area non isocronica con vocali esclusivamente a timbro aperto, che tende spostarsi più a sud man mano che si procede verso la costa: dunque i luoghi in cui più precisamente avviene il contatto fra la pronuncia teramano-pescarese e quella chietina sono la frazione Sambuceto di San Giovanni Teatino e gran parte della città di Francavilla al Mare, specie al di là del fiume Alento, in cui però a causa dell'intensa urbanizzazione verificatasi a partire dagli anni settanta del Novecento, sono presenti anche intere comunità di persone della più svariata provenienza, e questo ha fatto sì che nella maggior parte del comune convivano diversi tipi di parlate.
L'area isocronica parziale invece include, ad esempio, i territori di Bucchianico, Fara Filiorum Petri, Rapino, Tollo, Vacri, Filetto (area Chietino-orientale), Lanciano, Ortona, Vasto, e più all'interno, Bussi sul Tirino, Tocco da Casauria, che risentono ancora di influssi peligni. La linea di demarcazione fra l'area isocronica totale e quella parziale parte dal promontorio ortonese, passa poco al di là di Ripa Teatina, includendo completamente Bucchianico e Fara, ed escludendo Guardiagrele. Ma ad un'analisi più approfondita la situazione appare ancor più complessa e frammentata, in quanto alcuni centri interessati dal passaggio della suddetta linea si pongono in un'area intermedia, né completamente isocronica come quella chietina ma al contempo con un timbro più aperto rispetto ai dialetti frentani: è il caso dei dialetti di Miglianico, Villamagna e Roccamontepiano.
Nel resto della regione, l'isocronismo parziale riguarda la valle peligna orientale,la parte più orientale della Marsica, e l'Alto Sangro.
In alcuni casi, gli effetti dell'isocronismo interagiscono con quelli dei frangimenti delle vocali toniche (vedi sotto). In altri casi, ad esempio nel Teramano, l'esito residuale di antichi frangimenti vocalici può essere percepito come equivalente all'isocronismo. Le vocali qui assumono infatti, come anche nel Pescarese-Pennese, anche se ormai quasi soltanto nella parlata delle persone più anziane e meno alfabetizzate, un unico suono aperto, sia in sillaba chiusa sia in sillaba libera: così quèssë "quésto", sèrë "séra", strèttë "strétto", nè-rë "néro", sòttë "sótto", sòprë "sópra", pèdë "piede", ròscë "rósso", ròsë "rosa".
Frangimenti delle vocali toniche
Questo fenomeno consiste nell'alterazione delle vocali toniche tanto nell'apertura quanto nel timbro, dando luogo a svariati esiti, dittonghi, palatalizzazioni, ecc. Il risultato è quella "babele" linguistica che spesso porta a ritenere assolutamente diversi i dialetti di centri vicini che magari, ad un'analisi più scientifica, presentano invece caratteristiche del tutto simili. Inoltre, questo tratto dialettale è spesso avvertito dagli stessi parlanti come "arcaicizzante" e quindi sconveniente rispetto a parlate più regolari e perciò più "moderne". In alcuni centri, in cui pure si è manifestato in passato, è stato pertanto dapprima reso facoltativo, poi del tutto rimosso.
È probabile che la causa genetica della grande varietà delle differenziazioni vocaliche abruzzesi debba essere ricercata nella forza di contrasto fra l'accento dinamico dell'italico e l'insensibilità dei parlanti alla quantità latina. Il sostrato italico, cioè, venuto a contatto con la quantità latina, non recepibile in un sistema fonologico qualitativo, per ragioni di difesa, poté aver rafforzato la sua natura esplosiva e aver dunque promosso il frangimento vocalico, allungando le vocali fuori posizione, predisponendone la chiusura, e abbreviando quelle in sillaba chiusa, avviandole al timbro aperto.
Il fattore primo e determinante del frangimento è da ricercarsi nello scdimento delle vocali atone, che ha comportato la loro non funzionalità e, conseguentemente, la pronuncia intensa delle vocali toniche: così la disposizione degli abruzzesi tende a dare primaria importanza alla vocale tonica, che a sua volta condiziona ogni altro fonema, e fa sì che la sua estrema apertura determini il suo sconfiamento nelle vocali del grado successivo. Infatti un dato tipico delle vocali abruzzesi, e specialmente quelle della fascia adriatica, che ha recepito un diverso tipo di latinità non legato a quella popolare di Roma, è la scarsa compattezza, che si evince proprio dagli esiti a cui sono pervenute.
I diversi tipi di frangimenti possono essere raggruppati in poche categorie. Un primo tipo riguarda le sole vocali chiuse in sillaba libera, mentre un secondo tipo incondizionatamente tutte le toniche chiuse. Un esempio di sistema vocalico del primo tipo è quello di Roccascalegna (Chieti), nel quale le vocali é, ó, ed anche ì, ù, in sillaba libera, vengono dittongate: nèirë 'nera', ma stréttë 'stretta'; gëlàusë 'gelosa', ma róscë 'rossa'; fòilë 'filo', ma rìcchë 'ricco'; mèurë 'muro', ma brùttë 'brutto'
Come esempio del secondo tipo, si può prendere Cellino Attanasio (Teramo), dove é, ó si aprono a ò, à molto larghe (quest'ultima velare), tanto in sillaba libera che complicata: pòlë 'pelo', e stròttë 'stretto'; gëlàsë 'geloso', e ràscë 'rosso'.
Talvolta, i due tipi di frangimenti sono entrambi presenti, certo per via di due correnti linguistiche non contemporanee, come a Vasto, Monteodorisio e Quadri (Chieti), dove prima si fransero le é, ó originarie, e poi anche quelle risultanti da isocronismo sillabico in sillaba libera: nàirë 'nero', e stràttë 'stretto'; gëlàusë 'geloso', e ràscë 'rosso'; fèilë 'filo', e rècchë 'ricco'; mìurë 'muro', e brìttë 'brutto'; néuvë 'nuovo'.
Indebolimento delle vocali atone
È sicuramente una delle caratteristiche più vistose, e più note anche ai meno esperti, dei dialetti centro-meridionali. In tutte le parlate dell'Abruzzo, tranne che in quelle della macro-area aquilana, e delle propaggini più occidentali della Marsica, le vocali atone, cioè non accentate, tendono a confluire nell'unico esito "neutro", qui rappresentato con la grafia ë.
Questo fenomeno inizia a manifestarsi da Assergi, frazione di Camarda, Picenze, frazione di Barisciano, nel contado forconese, a Bagno, Rocca di Cambio, e nella Marsica fucense, già da Avezzano, Luco dei Marsi e Balsorano.
In questi luoghi, nella metà occidentale dell'area Peligna, nella zona ascolana e teramana settentrionale la a in posizione finale rimane esclusa da questo fenomeno, mentre nell'Abruzzo adriatico anch'essa confluisce nel suono neutro.
Tuttavia nell'area intorno alla città dell'Aquila alcune voci della terminologia pastorale di genere maschile hanno esito in -e, anziché in -u, come jupe per "lupo", fume per "fumo": quasi sicuramente si tratta di un'-e del dominio abruzzese che è penetrata in quello aquilano e non può esser presa come "spia", per dimostrare che un tempo anche il dialetto aquilano-reatino "verosimilmente" appartenesse all'area delle vocali indistinte e che successivamente si ripristinassero le vocali finali originarie, ad opera dei pastori, che con la transumanza nella campagna romana venivano a contatto con pastori laziali, anche perché si tratta proprio di termini relativi alla loro attività, in cui dunque per primi si sarebbe dovuto verificare il ripristino della vocale finale. Inoltre i documenti del '200 e quelli successivi smentiscono l'ipotesi, che oltretutto appare alquanto "astratta" e "sproporzionata" tra causa ed effetto.
È da notare che poi le città di Teramo e Sulmona si pongono in una situazione intermedia, mentre nella valle peligna corre un'isoglossa che divide come detto prima un'area occidentale(la cosiddetta Peligno-occidentale), con Acciano, Raiano, Introdacqua, Bugnara, che conserva la -a, ed una orientale (la cosiddetta area Peligno-orientale), con Campo di Giove, Pacentro, Pratola Peligna e Popoli, che la conguaglia ad -ë. Infine, lungo l'Alto Sangro, l'isoglossa in questione segue il confine provinciale, con Ateleta che conserva -a e Gamberale che già la assimila ad -ë.
Palatalizzazione
La palatalizzazione di l e ll davanti a i e u originarie latine non riguarda tutta l'Italia centro-meridionale, ma solo una sua porzione, prevalentemente appenninico-tirrenica e rivolta a sud. Consiste nella palatalizzazione dei nessi li, lu, lli, llu che hanno come esito normalmente ji, ju, gli, gliu. Altri esiti particolari sono quelli cacuminali della Valle d'Orta (ghju, ddu, ecc.) e della Valle del Sagittario nel passato (zzu), entrambi ampiamente studiati.
La palatalizzazione è il fenomeno che distingue le parlate dei contadi novertino e reatino da quelle aquilane. Queste ultime presentano infatti palatalizzazione - e all'Aquila gli articoli maschili sono ji, ju - mentre le prime ignorano tale fenomeno - e a Rieti gli articoli sono li, lu -. La Marsica è uniformemente interessata dalla palatalizzazione, mentre l'area Peligna è attraversata dall'isoglossa che divide le due zone, così come per la perdita di -a. L'Abruzzo adriatico e l'Ascolano, a parte alcune aree montane, non conoscono palatalizzazione.
Altri fenomeni
La palatalizzazione: i nessi formati da occlusiva + l si sono normalmente palatalizzati come in italiano: bianco da *BLANCU(M), chiave da *CLAVE(M), piano da *PLANU(M), fiume da *FLŪME(N). In certi casi, però, alcuni nessi si sono conservati con l e addirittura rafforzati a pr, br, fr, ecc. Ma tale fenomeno è guizzante sul territorio, e non se ne può tracciare un areale geografico. Invece nel lembo meridionale dell'Abruzzo si trova eco dell'esito *PL > kj che è diffuso nell'Italia meridionale.
La caduta di v- in posizione iniziale e spesso anche intervocalica è un fenomeno tipico dell'Aquilano. Nelle frazioni dell'Aquila si ha ad esempio l'àlle 'la valle'.
La propagginazione consiste nell'inserimento della sillaba tonica, immediatamente prima della vocale accentata, della u o i della sillaba precedente, in genere quella degli articoli maschili singolare e plurale. Il fenomeno si presenta quasi sempre limitato alla sola u, ed ha un aerale guizzante. Facendo un esempio tratto dalla parlata di Calascio (L'Aquila), si ha cànë 'cane', ma ru cuànë 'il cane'.
Fenomeni generali, comuni all'intera Italia centro-meridionale sono l'assimilazione di lat. volg. MB, ND in mm, nn, come in sammuchë 'sambuco', mónnë 'mondo'; la sonorizzazione delle consonanti dopo n, m ed anche di s dopo r, come in fóndë 'fonte', càmbë 'campo', órzë 'orso', ecc., e la resa -r- del nesso latino volgare -RJ-.
Sostantivi
In questi tutti i dialetti, i sostantivi sono maschili o femminili. Il neutro romanzo, anche detto "neutro di materia", interessa alcune aree, soprattutto nell'aquilano. Ad esempio, forme come lo pà(ne), lo vì(no) sono in opposizione al maschile ju quatrànu.
Le forme del plurale dei sostantivi rimangono quelle del romanzo comune: -i per i nomi maschili, -e per quelli femminili. Ma la -i dei maschili ha provocato il fenomeno della metafonesi, che si riflette sulla vocale tonica precedente. Nei dialetti dove le vocali atone finali si sono indebolite e confluite nell'unico esito ë, la metafonesi resta così l'unico marchio del plurale.
Si noti la particolare formazione del caso vocativo, ottenuto troncando tutte le sillabe successive a quella tonica (se la sillaba tonica è chiusa, cade la consonante terminale). Es.: professórë (professore) > professò' (professore!)
Pronomi ed aggettivi
Come in buona parte dell'area centro-meridionale, i dialetti abruzzesi sono caratterizzati da ènclisi dell'aggettivo possessivo (ad esempio, pàtrëmë 'mio padre', sòretë 'tua sorella').
La tripartizione dei dimostrativi è anche un fenomeno comune. Ad esempio, a Ortona si hanno stu 'questo', chëlù 'quello' e ssu 'codesto'. La tripartizione riguarda anche gli avverbi di luogo; sempre ad Ortona, si hanno ècchë 'qui', èllë 'lì', ma anche èssë 'costì' (lontano da chi parla, vicino a chi ascolta). Un'alternativa al tipo èllë è lóchë, diffuso nell'aquilano.
Il pronome personale soggetto di 3a persona è dappertutto il tipo isso (varianti éssë, ìssu, ecc.)
Verbi
Il condizionale presente si presenta secondo due forme: l'una, più antica, è rappresentata dall'aquilano mangiarrìa 'mangerei' e deriva dall'infinito + imperfetto del verbo avere; la seconda riprende invece il congiuntivo imperfetto, ad esempio magnéssë 'mangerei'. La seconda forma tende a rimpiazzare la prima dappertutto. Sono attestate forme ancora più arcaiche, derivate dal piuccheperfetto indicativo; ad esempio, a Trasacco putìrë 'potresti', fatigarìmë 'lavoreremmo'.
Fenomeni comuni all'area centro-meridionale sono l'accusativo preposizionale (salùtëmë a ssòrëtë 'salutami tua sorella'); l'impopolarità del futuro sostituito dall'indicativo presente (dumànë lë fàccë 'domani lo faccio) ¨ Per esprimere un rapporto durativo, sono diffuse due forme. La prima, comune a tutta l'area centro-meridionale consiste nel costrutto andare + gerundio (ad esempio, va purtènnë la pòstë 'va portando la posta'). La seconda forma, tipica dell'Abruzzo e delle regioni limitrofe, utilizza il costrutto stare + infinito (ad esempio, chë sta a ddìcë? 'che sta a dire?').
Molti dialetti d'Abruzzo e delle regioni limitrofe presentano essere come ausiliare dei verbi transitivi, con l'eccezione della 3a e della 6a persona (ad esempio, a Crecchio sémë cërcàtë 'abbiamo cercato', sétë cërcàtë 'avete cercato').
L'accordo participiale è particolare; si ha accordo fra soggetto e participio piuttosto che fra participio ed oggetto[7] (ad esempio, nu lë sémë fìttë lu pànë 'noi lo abbiamo fatto il pane', laddove fìttë mostra metafonesi dal plurale in -i).
Caratteristico è l'uso del pronome arbitrario-impersonale nómë, ad esempio in nómë dìcë ca jè bìllë 'dicono che sono belli'. Questo nómë è un pronome che non ha corrispondenti in altri dialetti italiani oltre al sardo. Questa caratteristica costruzione sintattica è tuttora molto diffusa a Vasto, dove il pronome impersonale usato è l'ome, ad esempio l'ome dèice a maje 'dicono a me'.
Da rimarcare un particolare fenomeno che interessa la zona di Ortona e Lanciano, nonché della Val Vibrata (Corropoli), per cui all'ausiliare essere viene agganciato il pronome. Esempio: "Sollë fattë chëlà cosë", ovvero "L'ho fatta quella cosa".
Alcuni esempi di opposizioni lessicali fra aree omogenee:
il ragazzo: uaglion (tutto abruzzo ; con varianti nell aquilano)
il bambino: tipo bardasc (Abruzzo adriatico, anche Marche), tipo quatrano/quatrale (Abruzzo chietino-aquilano interno)
frechino (Teramano, marche), cìtl (Pescarese-Chietino), quatranetto (Aquilano)
it. "testa": tipo capoccia (Marsica), coccia (resto d'Abruzzo), opp. ad es. a testa (Marche, Sicilia, Settentrione), capo,-a (Meridione, Lombardia, Toscana)
Tali differenze sono dovute al fatto che l'Abruzzo ha subito due diversi tipi di romanizzazione: infatti nel territorio adriatico furono immessi da Silla numerosi coloni, mentre nell'area occidentale la romanizzazione avvenne o con contatto diretto con Roma, come nel caso della Marsica, per ragioni di scambi commerciali, o attraverso amministratori romani o locali istruitisi a Roma.
Numerose le forme derivate dal latino parlato, molte delle quali ormai però usate solamente dalle generazioni più anziane: pëcùrë! per "guarda, sta attento" da PONE CURAM, espressione analoga all'altra diffusa nell'aquilano temé e nel Molise tammèndë da TENE MENTEM, ajùnëtë! per "sbrigati" a Moscufo da AGINARE, nzuràrësë per "sposarsi" da *(I)N-UXORAR(E)-SE e pàstënë per "vigna giovane" a Sulmona; ancora ampiamente adoperate sono invece le espressioni lessicali derivate dal latino classico: cràjë per "domani" usato nel territorio abruzzese solo nell'alto Sangro, ma poi compatto in territorio molisano, patë e matë per "padre" e "madre", sempre nell'alto Sangro, nénguë per "nevicare" da NINGERE, diffuso in tutta la regione, con il participio passato néngëtë da cui il femminile in uso a Scanno col valore di "nevicata", bévëtë participio passato per "bevuto" da BIBĬTUM, pahésë per "campagna" da PAGENSE, PAGUS, mò per "adesso", tipico di tutto il centro-meridione, da MODO e fëcìërënë (marsicano) da FECĒRUNT, contro l'italiano "fécero" da *FECĔRUNT.
Prestiti lessicali
Numerosi i termini che il dialetto abruzzese ha recepito da altre lingue, come nell'antichità quella araba, tedesca e spagnola, e, in tempi più recenti, quella inglese d'America, da parte degli emigrati di ritorno nei paesi d'origine.
Arabismi
Possono essere penetrati direttamente, durante le numerose escursioni sulle coste, bardascë per "bambino", diffuso nell'area adriatica pescarese-chietina, ma non nel teramano, che ha frëgì, e nel peligno, che risponde con quatràlë, la cui diffusione raggiunge l'aquilano e la vallata del Velino fino a Rieti, territori soggetti alle incursioni arabe, e harbìnë o harbì nel teramano, in uso esclusivamente nei dialetti costieri e collinari, ma non nell'aquilano e nel sulmonese, dove si ha per derivazione romanza, rispettivamente sciróccu e scëròcchë. Non sono penetrati "albicocca", che non ha soppiantato prëcòchë, dal latino PRECOQUUS, "melanzana", che non ha sostituito mulëgnanë, mentre "carciofo" ha avuto l'adattamento in scarcòfë, -fënë. Infine in alcune aree limitate fino alla generazione precedente era in uso cangarrë per "oggetto mal ridotto", dall'arabo ḥangar "pugnale ricurvo".
Germanismi
La dominazione longobarda in Abruzzo, durata dal 571 all'880 ha lasciato numerosi toponimi del tipo SCULCOLA, da cui Scurcola Marsicana, Monte Scurcola, GUARDIA, da cui Guardiagrele, Guardialfiera, FARA, da cui Fara Filiorum Petri, Fara San Martino, e alcuni toponimici in -ISCUS, da cui Pescosansonesco, Serramonacesca, Notaresco, o in -INGUS, da cui Civitaretenga, o suffissi etnici nel solo caso di cëvetéschë con cui si denominano gli abitanti di Civitella del Tronto; tuttavia ha scarsamente inciso sul vocabolario: alcuni esempi sono arraffà per "afferrare con violenza" da HRAFFON, gualànë o ualànë per "bovaro, bifolco", da WALD, làppë per "orlo", da LAPPO, prétëlë o prètola per "sgabello" da PREDIL, stinganà per "malmenare" da SKINKO "stinco", e zìnnë per "mammella" da ZINNA.
Americanismi
Limitati in particolari dialetti, queste voci rappresentano piuttosto un livello linguistico marginale, poiché sono limitate alle esclamazioni samnabéiccë! a Guardiagrele, o salmabbéccë! a Francavilla al Mare per "figlio di buona donna!", gòbbë per "lavoro", marchèttë per "mercato generale" e gèllë per "ragazza" a Introdacqua.
Scambi lessicali
Essi sono notevoli, in paricolare con l'altra sponda dell'Adriatico, e dimostrano sufficientemente l'esistenza di un dominio linguistico compatto e di una civiltà "adriatica" che si configura con suoi tatti qualificanti fin dalle origini. Gli abruzzesismi principali passati all'altra sponda sono kaškavale, dall'abruzzese adriatico cascëcavallë per "caciocavallo", kolandra "specie di allodola", come nel dialetto di Scanno colandra o nell'abruzzese orientale calandrë, otarasiti se per "allontanarsi", dall'abruzzese addarassà.
L'italiano degli abruzzesi
L'abruzzese distingue due livelli linguistici: quello dialettale, che definisce "parlare sporco", e quello italiano, che chiama il il "parlare pulito o cibato", mentre parlà giargianese significa "parlare una lingua straniera", e perciò incomprensibile. Nell'ambito delle parlate locali, l'abruzzese distingue e ha coscienza della differenza tra il proprio dialetto e quello dei paesi vicini.
Dialettalismi
A livello fonetico l'abruzzese anche di media cultura, parlando italiano, si lascia inconsciamente sfuggire i seguenti errori di pronucia, tipici del dialetto: 1) rendendo i nessi -nt-, -mp-, -ns-, -nc- in -nd-, -mb-, -nz-, -ng-. Ad esempio, molti pronunciano dende, cambagna, penza, ingenzo, mangare (rispettivamente per dente, campagna, pensa, incenso, mancare), ma agli italofoni che si controllano accade di inciampare negli ipercorrettismi di questo genere: uncere, manciare, quanto per "quando", ecc; 2) raddoppiando le consonanti scempie: accelerare, commara, barrella, burrattino, o scempiando le vocali doppie: matutino, matone, machina, capuccino, inferiata, ecc; 3) riducendo la palatale schiacciata "gl" nella laterale "l": D'Azelio e viceversa Itaglia, oglio; 4) usando l'aspirata sonora in iato o in voci che iniziano con le vocali a-, o-: idega per "idea", Ganna per "Anna", gotto per "otto"; 5) pronunciando in maniera palatalizzata s+t ed s+chia, -chio, -chiu: quešto, vešte, šchiavo, šchiaffo; 6) realizzando lo iato nei dittonghi: Chìéti, bùòno, cùòre, queštïóne; 7) nell'uso di forme verbali arcaiche come leggiavamo, sapavamo, e viceversa amevamo, parlevamo. Tuttavia nella grafia, che è controllata, è difficile che un abruzzese di media cultura cada in simili errori.
A livello lessicale hanno significato estensivo parole come pulito per "elegante", impressionato per "illuso, fissato", corto e lungo per "basso" e "alto" relativi a persona, restare o rimanere per "rimanere allibito, stordito, meravigliato", facciata per "pagina", sportelli per "scuri", fame per "appetito", giusto per "esatto". Oppure è accaduto che molti vocaboli hanno perduto il significato originario, come villa per "giardino pubblico", premura per "fretta", angustiarsi per "inquietarsi", appurare per "sapere", calare per "scendere" e "portare giù", ecc.
A parte vanno considerati vocaboli che sono entrati nell'italiano , perché non vi è il corrispondente nella lingua nazionale: così centerba al femminile, che in italiano sarebbe "centerbe", oppure parròzzo con la "o" aperta pescarese anziché "parrózzo", scamorza per "mozzarella", stagione per "estate", ecc.
Gli abruzzesi che si controllano scambiano per dialettalismi vocaboli ed espressioni italiane, cercando di adoperare altri termini per evitare ogni possibile strascico dialettale: gli abruzzesi italofoni sono portati ad utilizzare anche troppo spesso e senza un giustificato motivo, dimenticare per "scordarsi", topo e non "sorcio", adirarsi e non "arrabbiarsi", mellone e non "melone", concesso e non "conceduto", perso e non "perduto".
Infine a livello morfosintattico, caratteristici sono l'uso neutro di lo (p.es. "l'acqua non lo bevo"), l'aggettivo per l'avverbio: "lo fa facile", anziché "facilmente", l'errato uso del riflessivo: "si ha mangiato un piatto di minestra", l'uso dell'indicativo invece che del congiuntivo: "a ora che viene" per "prima che venga", l'uso del verbo transitivo per l'intransitivo: "salire la sedia", "entrare il letto", "scendere qualcuno o qualcosa", l'uso dell'imperfetto nelle proposizioni secondarie dipendenti da un verbo di "dire" all'imperativo: "dì che andasse"; e infine l'uso dell'articolo al posto della preposizione semplice: "è andato alla scuola, alla messa", "ha preso la moglie", ecc.
Non esiste un'unica regola ortografica per trascrivere l'abruzzese; tale mancanza è probabilmente dovuta al fatto che l'eredita letteraria scritta di questo dialetto è minima. Tra i poeti contemporanei che hanno prodotto testi originali in abruzzese sono da ricordare Modesto Della Porta, Raffaele Fraticelli, Marcello de Giovanni, Romolo Liberale.
La caratteristica più vistosa del dialetto abruzzese è la presenza della e muta risultante dall'indebolimento delle vocali atone. Questo suono è indistinto, smorzato, ma non arriva mai alla soppressione totale della vocale. Spesso viene reso con una e. Questa e può essere soppressa nella scrittura se preceduta da una i tonica (allegrìe > allegri', Ddìe > Diì', vìe > vì'). I dialettologi propongono invece l'utilizzo del grafema ë.
Gli scritti in dialetto abruzzese comprendono spesso altre due lettere:
la j (i lunga) che sostituisce l'italiano gli (ad es. pajàre) e raddoppia se preceduta da vocale tonica (ad es. pàjje 'paglia');
la ç (c con la cediglia) nelle parole che hanno un suono intermedio fra sci e ci, ad es. per distinguere fra caçe 'cacio' e casce 'cassa'.
Alcune alternanze nell'ortografia sono dovute alla particolare pronuncia di alcuni nessi consonantici, come:
consonanti sorde precedute da m, n, ad es. càmpe/càmbe 'campo', vènte/vènde 'vento', ncòre/ngòre 'ancora', pènse/pènze '(io) penso';
s davanti a t e d, talvolta scritta alla maniera introdotta da Finamore con il diacritico š , ad es. štanze, šdoppie, šdentate.
Come esempio di ortografia dialettale abruzzese, si riporta il testo della prima strofa della nota canzone Vola vola (Albanese-Dommarco, 1908).
Testo in ortografia popolare:
« Vulésse fà 'rvenì pe' n'ora sola
lu tempe belle de la cuntentèzze, quande pazzijavàm' a vola vola e ti cupré di vasce e di carezze.
E vola vola vola e vola lu pavone; si tie' lu core bbone mo' fàmmece arpruvà. »
Testo in ortografia fonetica semplificata:
Vuléssë fà 'rvënì pë n'óra sóla/ lu tèmbë bbèllë dë la cundendézzë/ quànnë pazzijavàm'a volavólë/ e të cupré dë vàscë e dë carézzë./ E vola vola vola/ e vóla lu pavonë/ si tiè lu córë bbónë/ mó fàmmëcë arpruvà.
Traduzione in italiano:
Vorrei far ritornar per un'ora sola/ il tempo bello della contentezza/ quando noi giocavamo a "vola vola"/ e ti coprivo di baci e di carezze./ E vola vola vola
Particolarissima la situazione nell'area vestina: molti centri distanti pochi chilometri fanno un uso totalmente diverso delle vocali. Famoso il dialetto di Penne che spesso sostituisce la "e" con la "o" (es. Pònn invece di Penne); il dialetto di Loreto Aprutino, di evidente influenza francofona, utilizza la "ù" stretta (eu) (es. Lùret invece di Loreto), e alla "o" pennese sostituisce una sorta di "e" gutturale con accentazione poco forte (më' per "me"); il dialetto di Montebello di Bertona che fa largo uso di "u" sostituendola ad altre vocali (es. Abbruzzùs invece di Abruzzesi, Mundubbell invece di Montebello); il dialetto di Città Sant'Angelo che fa largo uso di "è" sostituendola ad altre vocali (es. Chi sti fè? invece di cosa stai facendo?, jè invece di io). In tale area sono ricompresi anche i paesi dell'alta valle del fiume Fino in provincia di Teramo; in particolare, la sostituzione della "e" con la "o", insieme a quella della "a" con la "e" (es.: patène invece di patate, chèse in luogo di casa), si ritrova nel dialetto di Bisenti).
L'area teramana dev'essere stata uno dei centri di irradiazione dei frangimenti vocalici, al punto che essi sono ancora riscontrabili presso la parlata delle persone anziane persino della stessa città di Teramo, e di altri centri importanti, come Giulianova: in particolare nel capoluogo le originarie ĭ ĕ ē latine hanno prodotto esiti deicisamente particolari diversi a seconda dei vocaboli: così "doménica" (lat. domĭnica) ha dato dumànëchë, ma "fréddo" (lat. frĭgidus) ha dato fråddë, cioè con un suono intermedio tra la "a" e la "o" ma più vicino alla prima, "quéllo-a" (lat. ĭllum-a) ha dato quàllë, "perché" (composto derivato dalla radice quĭd) ha dato invece pëccò, come pure "tré" (lat. trēs) suona come trò, ecc. Anche la palatalizzazione di a deve aver avuto rigine in questo territorio, risultando del tutto indipendente da quella romagnola: sempre proponendo esempi di Teramo, pare che dall'originaria ă sia derivato è (sèndë da sănctum), mentre da ā si è prodotto un suono intermedio tra la "a" e la "e" che si potrebbe rendere graficamente con æ (ad es. štrædë da strāta). Questo fenomeno nelle altre due provincie dell'Abruzzo adriatico è molto più limitato e riscontrabile ormai solo nei centri montani. Pare infatti che i frangimenti non siano mai esistiti a Pescara, Chieti e Lanciano, mentre nei due dialetti di Ortona e Vasto si sono estinti a partire dagli anni cinquanta del secolo scorso.
Caratteristici e di sorprendente originalità i dialetti di Bussi sul Tirino (Pescara) e Pratola Peligna (L'Aquila): nel primo centro, evidente l'origine spagnola della "e" di congiunzione che assume la forma di "y" (cfr. mù y ttù ovvero io e te) oltre alla trasformazione in -aunë del suffisso italiano -one (mataunë per mattone), presente pure a Pratola. Tra l'altro, la "y" di congiunzione è possibile trovarla in altri dialetti limitrofi e della Valle Peligna. A Pratola Peligna e Lettomanoppello colpisce la chiara derivazione francofona di alcuni vocaboli, come - ad esempio - per i primi tre numeri (uno, due, tre) che sembrano letti dal francese senza alcun adattamento di pronuncia (èun, dèu, tròi per un, deux, trois).
Taluni notano una somiglianza della cadenza e della parlata dialettale dell'area Peligna con quella Ascolana.
Facilmente riconoscibile è la parlata chietina, dalla caratteristica cadenza cantilenante, e dall'uso sistematico della -i finale in ogni parola seguita da un'altra inziante per consonante: C'hanni fattë? per "Che hanno fatto?". È un fenomeno pressoché sconosciuto nel resto della regione, e forse in tutto il centromeridione.
Nel dialetto di Bucchianico (Chieti), che differisce enormemente da quello di Chieti malgrado disti solo 8 km, i pronomi personali "me" e "te" diventano maje e taje; gli infiniti in -are assumono la terminazione in -è (es. fare >fè, passare >passè, cercare >circhè, ecc.).
Nel dialetto di Fara Filiorum Petri (Chieti), è da rilevare il raddoppiamento della m nelle prime persone plurali dei verbi, fenomeno sconosciuto nei centri limitrofi (c' vedémmë per "ci vediamo").
Le vocali della zona pescarese-teramana hanno un suono piuttosto aperto, che curiosiamente fa avvicinare la pronucia di tali aree simile a quella calabrese-siciliana, mentre nella provincia di Chieti hanno suono chiuso, tanto da far pensare al dialetto sardo.
Nella coniugazione dialettale di più verbi andiamo a vedere che la radice del verbo non è uguale in tutte le persone. ESEMPIO vado - vajo, andiamo - jemo. Queste sono particolarità soprattutto della zona aquilana.
In parte della provincia di Teramo, come a Montefino, molti verbi al passato remoto terminano con -ozz. Ad esempio, jozz (andò), arvinozz (ritornò).
Al di là delle influenze dovute alla comune dominazione borbonica, il dialetto di alcune zone è stato fortemente influenzato anche dalla transumanza che ha trasportato alcuni vocaboli dal tavoliere pugliese al dialetto abruzzese. Sorprendenti alcune definizioni pressoché identiche tra i dialetti dell'Alto Sangro e quelli dell'appennino dauno (es. faùgnö - dal latino favonius - usato sia a Rocca Pia (AQ) e sia a Troia (FG) per indicare il vento caldo e secco).
La recente vocazione turistica dell'Alto Sangro ha inoltre portato un massiccio afflusso turistico in tali zone proveniente dalla Campania e da Napoli in particolare. I dialetti locali - come quelli di Roccaraso e Castel di Sangro - hanno subito una forte influenza da questa pacifica "invasione", denotabile soprattutto nel lessico giovanile che a volte si tinge di note campane, distanti dal dialetto storico altosangrino.
fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Dialetti_d'Abruzzo
Dunque, i dialetti abruzzesi possono essere suddivisi in 3 gruppi, il secondo dei quali ulteriormente ramificato, e a loro volta articolati in 7 aree complessive:
Sabino (dialetti italiani centrali)
Aquilano, nell'antico contado amiternino, cioè a nord e ad ovest della città dell'Aquila, essa inclusa, salvo la frazione di Assergi, che però linguisticamente parte da Accumoli, nel reatino, comprende la valle del Velino, con i centri di Amatrice, Antrodoco, Cittaducale, fino a tutta la provincia di Rieti [6]ed inoltrandosi in parte di quella di Terni;
Carseolano, attorno a Carsoli fra la Marsica e la valle dell'Aniene (Lazio);
Tagliacozzano, limitato a Tagliacozzo e alle località del suo circondario (Castellafiume, Scurcola Marsicana), ed esteso fino alle frazioni periferiche di Avezzano (San Pelino, Antrosano e Cese).
Tratto qualificante di questo gruppo dialettale è la conservazione delle vocali finali atone. In particolare nel dominio reatino-aquilano, area tradizionalmente conservativa, viene tuttora mantenuta la distizione fra -o ed -u finali, a seconda dell'originaria matrice latina: ad esempio all'Aquila si ha cavaju per "cavallo" (latino volgare *CABALLU(M)), ma scrio per "io scrivo" (lat. volg. *SCRĪBŌ). Ad occidente del suddetto dominio si estendono le parlate dei Piani Palentini, con centri di irradiazione quali Carsoli e Tagliacozzo, la cui punta più a sud, a contatto con l'area abruzzese della Marsica, è San Pelino, frazione di Avezzano: a ridosso dell'area laziale, queste parlate sono caratterizzate dalla confluenza delle vocali originali latine -u ed -o nell'unico esito -o (cavajo, fijo), ma come il sabino possiedono il medesimo sistema vocalico, fonetico e morfologico.
Abruzzese occidentale (dialetti italiani meridionali)
Marsicano e Aquilano orientale, il primo parlato nella Marsica (estendendosi a settentrione fino all'Altopiano delle Rocche: il confine dialettale passa infatti all'interno del comune di Rocca di Mezzo) e il secondo, ad est della città dell'Aquila, a partire dalla frazione di Assergi, e a Bagno (antico contado forconese);
Peligno, parlato nel circondario di Sulmona (L'Aquila) e nell'area pescarese appena ad est delle gole di Popoli (Tocco da Casauria), suddiviso, come si vedrà più tardi, in Peligno occidentale, che conserva la -a finale, e in Peligno orientale, che la indebolisce ad -ë e presenta metafonesi di -a.
Abruzzese orientale-adriatico (dialetti italiani meridionali)
Ascolano, parlato nei comuni della Val Vibrata a confine fra le province di Teramo e Ascoli Piceno, e in particolare nei comuni di Valle Castellana, Sant'Egidio alla Vibrata, Ancarano, Controguerra e Torano Nuovo, mentre il limite settentrionale giunge nella della provincia di Ascoli Piceno fino al fiume Aso arrestandosi al comune di Pedaso.
Vibratiano, una sottovariante di transizione tra Ascolano e Teramano contraddistinta da forti peculiarità fonetico-lessicali e limitata ai centri di Civitella del Tronto, Nereto, Corropoli e Colonnella.
Abruzzese adriatico, relativamente omogeneo fino alla dorsale appenninica, parlato nel grosso delle province di Teramo, Pescara e Chieti, che presenta le maggiori differenze nel campo della pronuncia vocalica, al punto che può essere ulteriormente suddiviso in: Teramano-Atriano (tra Rocca Santa Maria, Campli, Sant'Omero, Martinsicuro e Silvi), Pennese (tra Castelli, Montefino e Loreto Aprutino, Pescarese tra Città Sant'Angelo, Alanno e Pescara), Chietino occidentale (con isocronismo sillabico completo, tra San Giovanni Teatino, San Valentino in Abruzzo Citeriore, Guardiagrele e Fara San Martino), Chietino orientale (tra Francavilla al mare, Ortona, Bucchianico e Crecchio), Lancianese (tra San Vito Chietino, Fossacesia e Casoli) e Vastese (tra Casalbordino, Carunchio e San Salvo), con isocronismo parziale.
Si possono consultare esempi delle varianti del dialetto abruzzese adriatico usate nella città di Pescara alla voce Dialetto pescarese, oppure per la provincia di Teramo alla voce Dialetto teramano.
Numerose sono le aree di transizione, per lo più coincidenti con zone conservative e arcaicizzanti della provincia dell'Aquila, come Pescocostanzo ed Ateleta, le aree attorno a Sulmona, Barisciano. A Roccaraso, Castel di Sangro e nella Valle Roveto penetrano forme dialettali strettamente vicine al Campano.
Metafonesi
Questo fenomeno colpisce le vocali toniche é, è, ó, ò (chiuse/aperte) del sistema romanzo comune, quando la vocale finale della parola originaria latina è i oppure u. In particolare, ciò avviene per i sostantivi e gli aggettivi maschili singolari (terminazione latina -um) e plurali (terminazione latina -i), rispetto ai corrispondenti femminili singolari e plurali (terminazioni -a, -ae).
La metafonesi è tipica dell'Italia centro-meridionale, che include le Marche fino alla provincia di Macerata, l'Umbria al di qua del Tevere con Spoleto, Foligno, Terni, e la Sabina fino alle porte di Roma. Invece nel toscano, così come nell'italiano standard, la metafonesi non esiste. L'Abruzzo adriatico costituisce una zona a sé stante, in quanto vi si presenta solo la metafonesi da i finale. Gli esiti delle vocali alterate sono diversi a seconda della zona, ma tuttavia si può dire che dal punto di vista fonetico la metafonia abruzzese sintetizza i processi di elevazione linguale del tipo sardo e napoletano.
La é e la ó passano normalmente a i e, rispettivamente, u. Facendo qualche esempio tratto dalla parlata di Ortona (Chieti), si ha così: nìrë 'neri', ma nérë 'nero', e gëlùsë 'gelosi', ma gëlósë 'geloso'. Le vocali aperte è, ò possono invece avere due esiti differenti. Il primo tipo di metafonesi, talvolta detto "sabino" perché tipico, tra le altre zone, della Sabina ivi compresa L'Aquila, prevede la chiusura di dette vocali a é, ó. Così, all'Aquila si ha: bégliu 'bello', ma bèlla 'bella', e bónu 'buono', ma bòna 'buona'. L'altro tipo di metafonesi è quello "napoletano" o "sannita", tipico di larga parte dell'Italia centro-meridionale. Essa prevede la dittongazione, generalmente con esito ié, uó. Nel dialetto napoletano si ha, ad esempio: viécchjë 'vecchio', ma vècchja 'vecchia', e nuóvë 'nuovo', ma nòva 'nuova'. Molto spesso, il dittongo è ritratto sul primo componente, e così l'esito metafonetico diventa ì, ù. Ciò accade, limitatamente alla metafonesi da -i, ad esempio a Pescara: vìcchjë 'vecchi', o nùvë 'nuovi'.
La situazione in Abruzzo è quanto mai complessa. Il tipo sabino è tipico della macro-area aquilana e di quella marsicana-aquilana orientale, incluse le città dell'Aquila e di Avezzano. La metafonesi sannita domina invece la macro-area peligna, con Sulmona stessa, e quella ascolana. Nell'Abruzzo adriatico, invece, si ha solo metafonesi da -i, di tipo sannita (così a Pescara, Chieti, Teramo, Lanciano, Vasto, Ortona). La situazione è in realtà più complessa di questo semplice schema, con diverse aree di transizione ed eccezioni motivate da particolarità storiche.
Questo perché l'Abruzzo interno è stato investito da due correnti, una a metafonesi sabina, l'altra sannita: la prima, proveniente dall'area umbro-laziale, si estese nei contadi amiternino, forconese e marsicano, la seconda, originaria della zona campano-molisana, interessò il contado valvense, che prima della fondazione de L'Aquila, arrivava fino a Barisciano, per poi interessare solo parzialmente l'area montana vicino Sulmona (in quanto alle porte orientali del capoluogo peligno comincia una piccola area con metafonesi nuovamente sabina, con Marane, frazione di Sulmona, Campo di Giove e Pacentro), e traboccare oltre le gole di Tramonti, in alcune località montane dei contadi pennese e chietino.
Successivamente alla fondazione della diocesi aquilana, la metafonesi sabina riconquistò la zona dell'altopiano peltuinese e della valle del Tirino, oltrepassando Forca di Penne fino a Sant'Eufemia a Maiella, ma non intaccò le aree montane più conservative.
Infine, la metafonesi sannita solo da -i si è probabilmente propagata più tardi rispetto alle precedenti, ed ha interessato l'intera area adriatica per la presenza dell'asse della Salaria ascolana.
La tesi di un'antica metafonia da -u nella fascia adriatica sostenuta dal Rohlfs non è accettabile, perché i pochi esempi riscontrabili sono dovuti ad altre cause, come la palatalizzazione per consonanti contigue, ad esempio in dicìmbrë, oppure per evitare omofonie e confusioni semantiche, come in trappitë "treppiede". Anche le forme ùojë "oggi" e uògnë "ogni" del dialetto di Castelli, da cui ùjë e ùgnë del pescarese-chietino derivano non da metafonesi ma da un gruppo fonetico palatale o da un suono palatale.
Metafonesi di -a
La metafonesi di -a, limitatamente alle finali in -i, assente nel sistema sabino, è un fenomeno da ritenere coevo alla metafonia di -e, -o, perché non è pensabile che un sistema vocalico si modifichi soltanto in parte: è caratteristica dei dialetti abruzzesi, da cui dev'essere partita, diffondendosi a nord nel territorio ascolano, inscindibile dall'area teramana, e secondo il Rohlfs anche a occidente nel Lazio meridionale (Arpino, Castro dei Volsci), saldando così l'Abruzzo occidentale con l'area tirrenica. I risultati sono quanto mai vari: e nel gruppo occidentale, ì (con un timbro intermedio tra é e i) in quello orientale, ia nell'alto Sangro, a Pescocostanzo, nel Piano di Navelli, nell'alto chietino e in parte del Molise. Il fenomeno è evidente paricolarmente sul versante adriatico, vale a dire il Teramano-Atriano, il Pennese-Pescarese con le aree di Forca di Penne e della valle d'Orta, il Chietino occidentale ed orientale, il Lancianese ed il Vastese.
Come esempio, si può prendere la parlata di Chieti, dove si ha lu bardascë, "il bambino", ma li bardiscë, "i bambini"; "parlë" (io parlo, egli parla) ma "pìrlë" (tu parli) ecc. Talvolta, specie nell'area abruzzese-occidentale, per effetto dell'isocronismo sillabico, il timbro si è uniformato agli esiti di -e, e cioè aperto in sillaba chiusa e chiuso in sillaba libera, come ad esempio a Guardiagrele, dove si ha lu canë, li chénë, ma lu pannë, "il panno", ma li pènnë, "i panni".
Inoltre in alcune aree, come a Popoli, per armonizzazione vocalica a metafonizza anche in posizione atona: lu cavàglië, li chèvèglië, lu scarparë, li schèrpérë, ecc.
Metafonia dei femminili
In tutto il dominio chietino-pescarese sono molto diffusi i plurali femminili del tipo bèllë "bella":bìllë "belle", cuntèntë "contenta":cuntìntë "contente",iumèntë "giumenta":iumìntë "giumente", ecc. In genere si può dire che in questa zona i femminili metafonizzano come i maschili e ciò presuppone che il plurale latino -ae, risolvendosi nella vocale indistinta -ë, ha acquistato il timbro di -i, come è rilevabile nella parlata chietina, in cui -ë nel contesto della frase è un chiaro -i: quattri cusë per "quattro cose", sandi Rocchë per "S. Rocco", tótti ddó per "tutti e due".
Non bisogna inoltre dimenticare che nei testi volgari aquilani delle origini era ampiamente documentata la metafonia delle vocali chiuse é, ó dei nomi femminili: in Buccio di Ranallo (XII-XIII secolo) troviamo infatti billizi per "bellezze", nonché i plurali dei nomi femminili in -ione, come presciuni per "prigioni".
Nei dialetti moderni della provincia dell'Aquila si hanno esempi di metafonia dei nomi femminili anche per -e, come nell'aquilano del contado térri per "terre".
Aree metafonetiche
Area sabina - Nel dominio reatino-aquilano-carseolano-tagliacozzano, attestatosi su un vocalismo a quattro gradi, in cui -u finale si continua o si è conguagliata in -o, la metafonesi è determinata dalle vocali finali -u ed -i: ad esempio all'Aquila si ha paése, ma al plurale paìsi, mòrta ma al maschile mórtu, apèrta ma apértu e così via.
Area peligna - Le parlate dell'area peligna metafonizzano, come quelle sabine, date -u ed -i finali, utilizzando però la cosiddetta metafonesi "napoletana" o "sannita": perciò per le vocali aperte è, ò è prevista la dittongazione, generalmente con esito ié, uó, mentre per le chiuse é, ó vi sono i rispettivi esiti i, u. Così a Sulmona si ha vìdevë "vedovo" ma védevë "vedova", e sùocërë "suocero" ma sòcërë "suocera", apìërtë ma apèrtë e così via.
Area adriatica - La zona adriatica, a livello metafonetico, si caratterizza dalle due precedenti perché metafonizza solo dato -i: così a prescindere dalla pronuncia chiusa o aperta delle vocali mediane, gli esiti metafonetici sono sempre ì per è, é e ù per ò, ó. Così si ha mòrtë per "morto, -a" e mùrtë per "morti" e bèllë per "bello, -a" e bìllë per "belli".
Metafonia verbale
In tutto il dominio abruzzese la -i delle desinenze verbali della seconda persona provoca metafonia per tutte le vocali, tranne per -à nell'area aquilano-cicolano-carseolana, nella quale questa vocale non è soggetta a metafonia.
Così in base agli esiti delle vocali sottoposte a metafonia si possono individuare le seguenti aree:
Area aquilana: tu crìi "tu credi", ma créo "credo", tu perduni ma issu perdóna, ecc.
Area peligna: tu mègnë "tu mangi" ma jë màgnë, tu mùovë "tu muovi" ma jë mòvë, ecc.
Area adriatica: tu mìgnë "tu mangi" ma jë màgnë, tu sìndë ma jë sèndë, ecc.
Anche la desinenza -as, che in Abruzzo dovette passare per tempo a -is, produce metafonia: ad esempio all'Aquila si ha issu èra per "egli era" ma tu iri per "tu eri", e così nel resto della regione jë èrë o érë e tu ìrë o ahìrë a seconda dei luoghi.
La desinenza -o della prima persona singolare non produce metafonia in alcuna zona, mentre in certi verbi si verifica un fenomeno solo apparentemente metafonetico perché dovuto ad anafonesi per il nesso N+G: così a Sulmona si hanno le forme vìenghë, stìenghë, dìenghë per "vengo", "sto" e "do", che nel teramano-pescarese suonano come vìnghë, stìnghë, dìnghë, nel lancianese vénghë, sténghë, dénghë, mentre nel dialetto di Chieti si ha solo stìnghë, mentre le altre due forme sono vènghë e dènghë, senza dunque apparente metafonia.
Isocronismo sillabico
Buona parte del sistema vocalico romanzo comune è stato successivamente alterato, in alcune zone, da una corrente linguistica che ha provocato l'apertura in è, ò delle vocali chiuse é, ó in sillaba complicata, ovvero nelle sillabe che terminano con una consonante, e la contemporanea chiusura in é, ó delle vocali aperte è, ò in sillaba libera, ovvero nelle sillabe che terminano con la vocale stessa. Questo fenomeno può essere anche parziale, limitato alla sola chiusura delle toniche aperte in sillaba libera. Un esempio tratto dal dialetto di Pettorano sul Gizio (L'Aquila), che presenta l'isocronismo sillabico in maniera completa è: strèt-ta 'stretta', ma né-ra 'nera', e pé-dë 'piede', ma ròs-cia 'rossa'.
Se si parte dalla considerazione che l'isocronismo fu un'innovazione delle zone centrali della Romània e se si tiene conto del carattere conservativo del vocalismo dell'area sabina, è da supporre che l'isocronismo deve aver subìto un duplice destino: le zone più conservative, come quella reatino-aquilana, in séguito alla maggiore coscienza delle qualità vocaliche d'origine, non hanno operato mutazione, mentre le aree periferiche, come quella adriatica, con minore sensibilità ai tipi vocalici del latino popolare di Roma, e non possedendo la netta opposizione dei timbri, hanno operato dei conguiagli indifferentemente, nel senso dell'apertura e della chiusura.
L'isocronismo è un fenomeno diffuso a partire dai centri montani vicino Sulmona e sul versante adriatico dalla città di Chieti, e non dovrebbe avere relazioni con le analoghe situazioni presenti in Puglia, giacché l'area isocronica che continua quella abruzzese nel Basso Molise si interrompe attorno al fiume Biferno per riprendere poi più a sud. Nelle zone di origine del fenomeno, vige ancora la situazione isocronica completa.
Nel chietino, sono centri con isocronismo completo Chieti, Casalincontrada, Guardiagrele, Pretoro, Ripa Teatina e la bassa valle del Pescara (Manoppello, Turrivalignani): in tali centri è parlato il cosiddetto Chietino-occidentale, che appare come area di saldatura fra l'Abruzzese Orientale-Adriatico e l'Abruzzese Occidentale.
Verso nord, la linea di inizio dell'area isocronica completa è segnata grosso modo dal fiume Pescara, al di là del quale si estende fino alla provincia di Teramo un'area non isocronica con vocali esclusivamente a timbro aperto, che tende spostarsi più a sud man mano che si procede verso la costa: dunque i luoghi in cui più precisamente avviene il contatto fra la pronuncia teramano-pescarese e quella chietina sono la frazione Sambuceto di San Giovanni Teatino e gran parte della città di Francavilla al Mare, specie al di là del fiume Alento, in cui però a causa dell'intensa urbanizzazione verificatasi a partire dagli anni settanta del Novecento, sono presenti anche intere comunità di persone della più svariata provenienza, e questo ha fatto sì che nella maggior parte del comune convivano diversi tipi di parlate.
L'area isocronica parziale invece include, ad esempio, i territori di Bucchianico, Fara Filiorum Petri, Rapino, Tollo, Vacri, Filetto (area Chietino-orientale), Lanciano, Ortona, Vasto, e più all'interno, Bussi sul Tirino, Tocco da Casauria, che risentono ancora di influssi peligni. La linea di demarcazione fra l'area isocronica totale e quella parziale parte dal promontorio ortonese, passa poco al di là di Ripa Teatina, includendo completamente Bucchianico e Fara, ed escludendo Guardiagrele. Ma ad un'analisi più approfondita la situazione appare ancor più complessa e frammentata, in quanto alcuni centri interessati dal passaggio della suddetta linea si pongono in un'area intermedia, né completamente isocronica come quella chietina ma al contempo con un timbro più aperto rispetto ai dialetti frentani: è il caso dei dialetti di Miglianico, Villamagna e Roccamontepiano.
Nel resto della regione, l'isocronismo parziale riguarda la valle peligna orientale,la parte più orientale della Marsica, e l'Alto Sangro.
In alcuni casi, gli effetti dell'isocronismo interagiscono con quelli dei frangimenti delle vocali toniche (vedi sotto). In altri casi, ad esempio nel Teramano, l'esito residuale di antichi frangimenti vocalici può essere percepito come equivalente all'isocronismo. Le vocali qui assumono infatti, come anche nel Pescarese-Pennese, anche se ormai quasi soltanto nella parlata delle persone più anziane e meno alfabetizzate, un unico suono aperto, sia in sillaba chiusa sia in sillaba libera: così quèssë "quésto", sèrë "séra", strèttë "strétto", nè-rë "néro", sòttë "sótto", sòprë "sópra", pèdë "piede", ròscë "rósso", ròsë "rosa".
Frangimenti delle vocali toniche
Questo fenomeno consiste nell'alterazione delle vocali toniche tanto nell'apertura quanto nel timbro, dando luogo a svariati esiti, dittonghi, palatalizzazioni, ecc. Il risultato è quella "babele" linguistica che spesso porta a ritenere assolutamente diversi i dialetti di centri vicini che magari, ad un'analisi più scientifica, presentano invece caratteristiche del tutto simili. Inoltre, questo tratto dialettale è spesso avvertito dagli stessi parlanti come "arcaicizzante" e quindi sconveniente rispetto a parlate più regolari e perciò più "moderne". In alcuni centri, in cui pure si è manifestato in passato, è stato pertanto dapprima reso facoltativo, poi del tutto rimosso.
È probabile che la causa genetica della grande varietà delle differenziazioni vocaliche abruzzesi debba essere ricercata nella forza di contrasto fra l'accento dinamico dell'italico e l'insensibilità dei parlanti alla quantità latina. Il sostrato italico, cioè, venuto a contatto con la quantità latina, non recepibile in un sistema fonologico qualitativo, per ragioni di difesa, poté aver rafforzato la sua natura esplosiva e aver dunque promosso il frangimento vocalico, allungando le vocali fuori posizione, predisponendone la chiusura, e abbreviando quelle in sillaba chiusa, avviandole al timbro aperto.
Il fattore primo e determinante del frangimento è da ricercarsi nello scdimento delle vocali atone, che ha comportato la loro non funzionalità e, conseguentemente, la pronuncia intensa delle vocali toniche: così la disposizione degli abruzzesi tende a dare primaria importanza alla vocale tonica, che a sua volta condiziona ogni altro fonema, e fa sì che la sua estrema apertura determini il suo sconfiamento nelle vocali del grado successivo. Infatti un dato tipico delle vocali abruzzesi, e specialmente quelle della fascia adriatica, che ha recepito un diverso tipo di latinità non legato a quella popolare di Roma, è la scarsa compattezza, che si evince proprio dagli esiti a cui sono pervenute.
I diversi tipi di frangimenti possono essere raggruppati in poche categorie. Un primo tipo riguarda le sole vocali chiuse in sillaba libera, mentre un secondo tipo incondizionatamente tutte le toniche chiuse. Un esempio di sistema vocalico del primo tipo è quello di Roccascalegna (Chieti), nel quale le vocali é, ó, ed anche ì, ù, in sillaba libera, vengono dittongate: nèirë 'nera', ma stréttë 'stretta'; gëlàusë 'gelosa', ma róscë 'rossa'; fòilë 'filo', ma rìcchë 'ricco'; mèurë 'muro', ma brùttë 'brutto'
Come esempio del secondo tipo, si può prendere Cellino Attanasio (Teramo), dove é, ó si aprono a ò, à molto larghe (quest'ultima velare), tanto in sillaba libera che complicata: pòlë 'pelo', e stròttë 'stretto'; gëlàsë 'geloso', e ràscë 'rosso'.
Talvolta, i due tipi di frangimenti sono entrambi presenti, certo per via di due correnti linguistiche non contemporanee, come a Vasto, Monteodorisio e Quadri (Chieti), dove prima si fransero le é, ó originarie, e poi anche quelle risultanti da isocronismo sillabico in sillaba libera: nàirë 'nero', e stràttë 'stretto'; gëlàusë 'geloso', e ràscë 'rosso'; fèilë 'filo', e rècchë 'ricco'; mìurë 'muro', e brìttë 'brutto'; néuvë 'nuovo'.
Indebolimento delle vocali atone
È sicuramente una delle caratteristiche più vistose, e più note anche ai meno esperti, dei dialetti centro-meridionali. In tutte le parlate dell'Abruzzo, tranne che in quelle della macro-area aquilana, e delle propaggini più occidentali della Marsica, le vocali atone, cioè non accentate, tendono a confluire nell'unico esito "neutro", qui rappresentato con la grafia ë.
Questo fenomeno inizia a manifestarsi da Assergi, frazione di Camarda, Picenze, frazione di Barisciano, nel contado forconese, a Bagno, Rocca di Cambio, e nella Marsica fucense, già da Avezzano, Luco dei Marsi e Balsorano.
In questi luoghi, nella metà occidentale dell'area Peligna, nella zona ascolana e teramana settentrionale la a in posizione finale rimane esclusa da questo fenomeno, mentre nell'Abruzzo adriatico anch'essa confluisce nel suono neutro.
Tuttavia nell'area intorno alla città dell'Aquila alcune voci della terminologia pastorale di genere maschile hanno esito in -e, anziché in -u, come jupe per "lupo", fume per "fumo": quasi sicuramente si tratta di un'-e del dominio abruzzese che è penetrata in quello aquilano e non può esser presa come "spia", per dimostrare che un tempo anche il dialetto aquilano-reatino "verosimilmente" appartenesse all'area delle vocali indistinte e che successivamente si ripristinassero le vocali finali originarie, ad opera dei pastori, che con la transumanza nella campagna romana venivano a contatto con pastori laziali, anche perché si tratta proprio di termini relativi alla loro attività, in cui dunque per primi si sarebbe dovuto verificare il ripristino della vocale finale. Inoltre i documenti del '200 e quelli successivi smentiscono l'ipotesi, che oltretutto appare alquanto "astratta" e "sproporzionata" tra causa ed effetto.
È da notare che poi le città di Teramo e Sulmona si pongono in una situazione intermedia, mentre nella valle peligna corre un'isoglossa che divide come detto prima un'area occidentale(la cosiddetta Peligno-occidentale), con Acciano, Raiano, Introdacqua, Bugnara, che conserva la -a, ed una orientale (la cosiddetta area Peligno-orientale), con Campo di Giove, Pacentro, Pratola Peligna e Popoli, che la conguaglia ad -ë. Infine, lungo l'Alto Sangro, l'isoglossa in questione segue il confine provinciale, con Ateleta che conserva -a e Gamberale che già la assimila ad -ë.
Palatalizzazione
La palatalizzazione di l e ll davanti a i e u originarie latine non riguarda tutta l'Italia centro-meridionale, ma solo una sua porzione, prevalentemente appenninico-tirrenica e rivolta a sud. Consiste nella palatalizzazione dei nessi li, lu, lli, llu che hanno come esito normalmente ji, ju, gli, gliu. Altri esiti particolari sono quelli cacuminali della Valle d'Orta (ghju, ddu, ecc.) e della Valle del Sagittario nel passato (zzu), entrambi ampiamente studiati.
La palatalizzazione è il fenomeno che distingue le parlate dei contadi novertino e reatino da quelle aquilane. Queste ultime presentano infatti palatalizzazione - e all'Aquila gli articoli maschili sono ji, ju - mentre le prime ignorano tale fenomeno - e a Rieti gli articoli sono li, lu -. La Marsica è uniformemente interessata dalla palatalizzazione, mentre l'area Peligna è attraversata dall'isoglossa che divide le due zone, così come per la perdita di -a. L'Abruzzo adriatico e l'Ascolano, a parte alcune aree montane, non conoscono palatalizzazione.
Altri fenomeni
La palatalizzazione: i nessi formati da occlusiva + l si sono normalmente palatalizzati come in italiano: bianco da *BLANCU(M), chiave da *CLAVE(M), piano da *PLANU(M), fiume da *FLŪME(N). In certi casi, però, alcuni nessi si sono conservati con l e addirittura rafforzati a pr, br, fr, ecc. Ma tale fenomeno è guizzante sul territorio, e non se ne può tracciare un areale geografico. Invece nel lembo meridionale dell'Abruzzo si trova eco dell'esito *PL > kj che è diffuso nell'Italia meridionale.
La caduta di v- in posizione iniziale e spesso anche intervocalica è un fenomeno tipico dell'Aquilano. Nelle frazioni dell'Aquila si ha ad esempio l'àlle 'la valle'.
La propagginazione consiste nell'inserimento della sillaba tonica, immediatamente prima della vocale accentata, della u o i della sillaba precedente, in genere quella degli articoli maschili singolare e plurale. Il fenomeno si presenta quasi sempre limitato alla sola u, ed ha un aerale guizzante. Facendo un esempio tratto dalla parlata di Calascio (L'Aquila), si ha cànë 'cane', ma ru cuànë 'il cane'.
Fenomeni generali, comuni all'intera Italia centro-meridionale sono l'assimilazione di lat. volg. MB, ND in mm, nn, come in sammuchë 'sambuco', mónnë 'mondo'; la sonorizzazione delle consonanti dopo n, m ed anche di s dopo r, come in fóndë 'fonte', càmbë 'campo', órzë 'orso', ecc., e la resa -r- del nesso latino volgare -RJ-.
Sostantivi
In questi tutti i dialetti, i sostantivi sono maschili o femminili. Il neutro romanzo, anche detto "neutro di materia", interessa alcune aree, soprattutto nell'aquilano. Ad esempio, forme come lo pà(ne), lo vì(no) sono in opposizione al maschile ju quatrànu.
Le forme del plurale dei sostantivi rimangono quelle del romanzo comune: -i per i nomi maschili, -e per quelli femminili. Ma la -i dei maschili ha provocato il fenomeno della metafonesi, che si riflette sulla vocale tonica precedente. Nei dialetti dove le vocali atone finali si sono indebolite e confluite nell'unico esito ë, la metafonesi resta così l'unico marchio del plurale.
Si noti la particolare formazione del caso vocativo, ottenuto troncando tutte le sillabe successive a quella tonica (se la sillaba tonica è chiusa, cade la consonante terminale). Es.: professórë (professore) > professò' (professore!)
Pronomi ed aggettivi
Come in buona parte dell'area centro-meridionale, i dialetti abruzzesi sono caratterizzati da ènclisi dell'aggettivo possessivo (ad esempio, pàtrëmë 'mio padre', sòretë 'tua sorella').
La tripartizione dei dimostrativi è anche un fenomeno comune. Ad esempio, a Ortona si hanno stu 'questo', chëlù 'quello' e ssu 'codesto'. La tripartizione riguarda anche gli avverbi di luogo; sempre ad Ortona, si hanno ècchë 'qui', èllë 'lì', ma anche èssë 'costì' (lontano da chi parla, vicino a chi ascolta). Un'alternativa al tipo èllë è lóchë, diffuso nell'aquilano.
Il pronome personale soggetto di 3a persona è dappertutto il tipo isso (varianti éssë, ìssu, ecc.)
Verbi
Il condizionale presente si presenta secondo due forme: l'una, più antica, è rappresentata dall'aquilano mangiarrìa 'mangerei' e deriva dall'infinito + imperfetto del verbo avere; la seconda riprende invece il congiuntivo imperfetto, ad esempio magnéssë 'mangerei'. La seconda forma tende a rimpiazzare la prima dappertutto. Sono attestate forme ancora più arcaiche, derivate dal piuccheperfetto indicativo; ad esempio, a Trasacco putìrë 'potresti', fatigarìmë 'lavoreremmo'.
Fenomeni comuni all'area centro-meridionale sono l'accusativo preposizionale (salùtëmë a ssòrëtë 'salutami tua sorella'); l'impopolarità del futuro sostituito dall'indicativo presente (dumànë lë fàccë 'domani lo faccio) ¨ Per esprimere un rapporto durativo, sono diffuse due forme. La prima, comune a tutta l'area centro-meridionale consiste nel costrutto andare + gerundio (ad esempio, va purtènnë la pòstë 'va portando la posta'). La seconda forma, tipica dell'Abruzzo e delle regioni limitrofe, utilizza il costrutto stare + infinito (ad esempio, chë sta a ddìcë? 'che sta a dire?').
Molti dialetti d'Abruzzo e delle regioni limitrofe presentano essere come ausiliare dei verbi transitivi, con l'eccezione della 3a e della 6a persona (ad esempio, a Crecchio sémë cërcàtë 'abbiamo cercato', sétë cërcàtë 'avete cercato').
L'accordo participiale è particolare; si ha accordo fra soggetto e participio piuttosto che fra participio ed oggetto[7] (ad esempio, nu lë sémë fìttë lu pànë 'noi lo abbiamo fatto il pane', laddove fìttë mostra metafonesi dal plurale in -i).
Caratteristico è l'uso del pronome arbitrario-impersonale nómë, ad esempio in nómë dìcë ca jè bìllë 'dicono che sono belli'. Questo nómë è un pronome che non ha corrispondenti in altri dialetti italiani oltre al sardo. Questa caratteristica costruzione sintattica è tuttora molto diffusa a Vasto, dove il pronome impersonale usato è l'ome, ad esempio l'ome dèice a maje 'dicono a me'.
Da rimarcare un particolare fenomeno che interessa la zona di Ortona e Lanciano, nonché della Val Vibrata (Corropoli), per cui all'ausiliare essere viene agganciato il pronome. Esempio: "Sollë fattë chëlà cosë", ovvero "L'ho fatta quella cosa".
Alcuni esempi di opposizioni lessicali fra aree omogenee:
il ragazzo: uaglion (tutto abruzzo ; con varianti nell aquilano)
il bambino: tipo bardasc (Abruzzo adriatico, anche Marche), tipo quatrano/quatrale (Abruzzo chietino-aquilano interno)
frechino (Teramano, marche), cìtl (Pescarese-Chietino), quatranetto (Aquilano)
it. "testa": tipo capoccia (Marsica), coccia (resto d'Abruzzo), opp. ad es. a testa (Marche, Sicilia, Settentrione), capo,-a (Meridione, Lombardia, Toscana)
Tali differenze sono dovute al fatto che l'Abruzzo ha subito due diversi tipi di romanizzazione: infatti nel territorio adriatico furono immessi da Silla numerosi coloni, mentre nell'area occidentale la romanizzazione avvenne o con contatto diretto con Roma, come nel caso della Marsica, per ragioni di scambi commerciali, o attraverso amministratori romani o locali istruitisi a Roma.
Numerose le forme derivate dal latino parlato, molte delle quali ormai però usate solamente dalle generazioni più anziane: pëcùrë! per "guarda, sta attento" da PONE CURAM, espressione analoga all'altra diffusa nell'aquilano temé e nel Molise tammèndë da TENE MENTEM, ajùnëtë! per "sbrigati" a Moscufo da AGINARE, nzuràrësë per "sposarsi" da *(I)N-UXORAR(E)-SE e pàstënë per "vigna giovane" a Sulmona; ancora ampiamente adoperate sono invece le espressioni lessicali derivate dal latino classico: cràjë per "domani" usato nel territorio abruzzese solo nell'alto Sangro, ma poi compatto in territorio molisano, patë e matë per "padre" e "madre", sempre nell'alto Sangro, nénguë per "nevicare" da NINGERE, diffuso in tutta la regione, con il participio passato néngëtë da cui il femminile in uso a Scanno col valore di "nevicata", bévëtë participio passato per "bevuto" da BIBĬTUM, pahésë per "campagna" da PAGENSE, PAGUS, mò per "adesso", tipico di tutto il centro-meridione, da MODO e fëcìërënë (marsicano) da FECĒRUNT, contro l'italiano "fécero" da *FECĔRUNT.
Prestiti lessicali
Numerosi i termini che il dialetto abruzzese ha recepito da altre lingue, come nell'antichità quella araba, tedesca e spagnola, e, in tempi più recenti, quella inglese d'America, da parte degli emigrati di ritorno nei paesi d'origine.
Arabismi
Possono essere penetrati direttamente, durante le numerose escursioni sulle coste, bardascë per "bambino", diffuso nell'area adriatica pescarese-chietina, ma non nel teramano, che ha frëgì, e nel peligno, che risponde con quatràlë, la cui diffusione raggiunge l'aquilano e la vallata del Velino fino a Rieti, territori soggetti alle incursioni arabe, e harbìnë o harbì nel teramano, in uso esclusivamente nei dialetti costieri e collinari, ma non nell'aquilano e nel sulmonese, dove si ha per derivazione romanza, rispettivamente sciróccu e scëròcchë. Non sono penetrati "albicocca", che non ha soppiantato prëcòchë, dal latino PRECOQUUS, "melanzana", che non ha sostituito mulëgnanë, mentre "carciofo" ha avuto l'adattamento in scarcòfë, -fënë. Infine in alcune aree limitate fino alla generazione precedente era in uso cangarrë per "oggetto mal ridotto", dall'arabo ḥangar "pugnale ricurvo".
Germanismi
La dominazione longobarda in Abruzzo, durata dal 571 all'880 ha lasciato numerosi toponimi del tipo SCULCOLA, da cui Scurcola Marsicana, Monte Scurcola, GUARDIA, da cui Guardiagrele, Guardialfiera, FARA, da cui Fara Filiorum Petri, Fara San Martino, e alcuni toponimici in -ISCUS, da cui Pescosansonesco, Serramonacesca, Notaresco, o in -INGUS, da cui Civitaretenga, o suffissi etnici nel solo caso di cëvetéschë con cui si denominano gli abitanti di Civitella del Tronto; tuttavia ha scarsamente inciso sul vocabolario: alcuni esempi sono arraffà per "afferrare con violenza" da HRAFFON, gualànë o ualànë per "bovaro, bifolco", da WALD, làppë per "orlo", da LAPPO, prétëlë o prètola per "sgabello" da PREDIL, stinganà per "malmenare" da SKINKO "stinco", e zìnnë per "mammella" da ZINNA.
Americanismi
Limitati in particolari dialetti, queste voci rappresentano piuttosto un livello linguistico marginale, poiché sono limitate alle esclamazioni samnabéiccë! a Guardiagrele, o salmabbéccë! a Francavilla al Mare per "figlio di buona donna!", gòbbë per "lavoro", marchèttë per "mercato generale" e gèllë per "ragazza" a Introdacqua.
Scambi lessicali
Essi sono notevoli, in paricolare con l'altra sponda dell'Adriatico, e dimostrano sufficientemente l'esistenza di un dominio linguistico compatto e di una civiltà "adriatica" che si configura con suoi tatti qualificanti fin dalle origini. Gli abruzzesismi principali passati all'altra sponda sono kaškavale, dall'abruzzese adriatico cascëcavallë per "caciocavallo", kolandra "specie di allodola", come nel dialetto di Scanno colandra o nell'abruzzese orientale calandrë, otarasiti se per "allontanarsi", dall'abruzzese addarassà.
L'italiano degli abruzzesi
L'abruzzese distingue due livelli linguistici: quello dialettale, che definisce "parlare sporco", e quello italiano, che chiama il il "parlare pulito o cibato", mentre parlà giargianese significa "parlare una lingua straniera", e perciò incomprensibile. Nell'ambito delle parlate locali, l'abruzzese distingue e ha coscienza della differenza tra il proprio dialetto e quello dei paesi vicini.
Dialettalismi
A livello fonetico l'abruzzese anche di media cultura, parlando italiano, si lascia inconsciamente sfuggire i seguenti errori di pronucia, tipici del dialetto: 1) rendendo i nessi -nt-, -mp-, -ns-, -nc- in -nd-, -mb-, -nz-, -ng-. Ad esempio, molti pronunciano dende, cambagna, penza, ingenzo, mangare (rispettivamente per dente, campagna, pensa, incenso, mancare), ma agli italofoni che si controllano accade di inciampare negli ipercorrettismi di questo genere: uncere, manciare, quanto per "quando", ecc; 2) raddoppiando le consonanti scempie: accelerare, commara, barrella, burrattino, o scempiando le vocali doppie: matutino, matone, machina, capuccino, inferiata, ecc; 3) riducendo la palatale schiacciata "gl" nella laterale "l": D'Azelio e viceversa Itaglia, oglio; 4) usando l'aspirata sonora in iato o in voci che iniziano con le vocali a-, o-: idega per "idea", Ganna per "Anna", gotto per "otto"; 5) pronunciando in maniera palatalizzata s+t ed s+chia, -chio, -chiu: quešto, vešte, šchiavo, šchiaffo; 6) realizzando lo iato nei dittonghi: Chìéti, bùòno, cùòre, queštïóne; 7) nell'uso di forme verbali arcaiche come leggiavamo, sapavamo, e viceversa amevamo, parlevamo. Tuttavia nella grafia, che è controllata, è difficile che un abruzzese di media cultura cada in simili errori.
A livello lessicale hanno significato estensivo parole come pulito per "elegante", impressionato per "illuso, fissato", corto e lungo per "basso" e "alto" relativi a persona, restare o rimanere per "rimanere allibito, stordito, meravigliato", facciata per "pagina", sportelli per "scuri", fame per "appetito", giusto per "esatto". Oppure è accaduto che molti vocaboli hanno perduto il significato originario, come villa per "giardino pubblico", premura per "fretta", angustiarsi per "inquietarsi", appurare per "sapere", calare per "scendere" e "portare giù", ecc.
A parte vanno considerati vocaboli che sono entrati nell'italiano , perché non vi è il corrispondente nella lingua nazionale: così centerba al femminile, che in italiano sarebbe "centerbe", oppure parròzzo con la "o" aperta pescarese anziché "parrózzo", scamorza per "mozzarella", stagione per "estate", ecc.
Gli abruzzesi che si controllano scambiano per dialettalismi vocaboli ed espressioni italiane, cercando di adoperare altri termini per evitare ogni possibile strascico dialettale: gli abruzzesi italofoni sono portati ad utilizzare anche troppo spesso e senza un giustificato motivo, dimenticare per "scordarsi", topo e non "sorcio", adirarsi e non "arrabbiarsi", mellone e non "melone", concesso e non "conceduto", perso e non "perduto".
Infine a livello morfosintattico, caratteristici sono l'uso neutro di lo (p.es. "l'acqua non lo bevo"), l'aggettivo per l'avverbio: "lo fa facile", anziché "facilmente", l'errato uso del riflessivo: "si ha mangiato un piatto di minestra", l'uso dell'indicativo invece che del congiuntivo: "a ora che viene" per "prima che venga", l'uso del verbo transitivo per l'intransitivo: "salire la sedia", "entrare il letto", "scendere qualcuno o qualcosa", l'uso dell'imperfetto nelle proposizioni secondarie dipendenti da un verbo di "dire" all'imperativo: "dì che andasse"; e infine l'uso dell'articolo al posto della preposizione semplice: "è andato alla scuola, alla messa", "ha preso la moglie", ecc.
Non esiste un'unica regola ortografica per trascrivere l'abruzzese; tale mancanza è probabilmente dovuta al fatto che l'eredita letteraria scritta di questo dialetto è minima. Tra i poeti contemporanei che hanno prodotto testi originali in abruzzese sono da ricordare Modesto Della Porta, Raffaele Fraticelli, Marcello de Giovanni, Romolo Liberale.
La caratteristica più vistosa del dialetto abruzzese è la presenza della e muta risultante dall'indebolimento delle vocali atone. Questo suono è indistinto, smorzato, ma non arriva mai alla soppressione totale della vocale. Spesso viene reso con una e. Questa e può essere soppressa nella scrittura se preceduta da una i tonica (allegrìe > allegri', Ddìe > Diì', vìe > vì'). I dialettologi propongono invece l'utilizzo del grafema ë.
Gli scritti in dialetto abruzzese comprendono spesso altre due lettere:
la j (i lunga) che sostituisce l'italiano gli (ad es. pajàre) e raddoppia se preceduta da vocale tonica (ad es. pàjje 'paglia');
la ç (c con la cediglia) nelle parole che hanno un suono intermedio fra sci e ci, ad es. per distinguere fra caçe 'cacio' e casce 'cassa'.
Alcune alternanze nell'ortografia sono dovute alla particolare pronuncia di alcuni nessi consonantici, come:
consonanti sorde precedute da m, n, ad es. càmpe/càmbe 'campo', vènte/vènde 'vento', ncòre/ngòre 'ancora', pènse/pènze '(io) penso';
s davanti a t e d, talvolta scritta alla maniera introdotta da Finamore con il diacritico š , ad es. štanze, šdoppie, šdentate.
Come esempio di ortografia dialettale abruzzese, si riporta il testo della prima strofa della nota canzone Vola vola (Albanese-Dommarco, 1908).
Testo in ortografia popolare:
« Vulésse fà 'rvenì pe' n'ora sola
lu tempe belle de la cuntentèzze, quande pazzijavàm' a vola vola e ti cupré di vasce e di carezze.
E vola vola vola e vola lu pavone; si tie' lu core bbone mo' fàmmece arpruvà. »
Testo in ortografia fonetica semplificata:
Vuléssë fà 'rvënì pë n'óra sóla/ lu tèmbë bbèllë dë la cundendézzë/ quànnë pazzijavàm'a volavólë/ e të cupré dë vàscë e dë carézzë./ E vola vola vola/ e vóla lu pavonë/ si tiè lu córë bbónë/ mó fàmmëcë arpruvà.
Traduzione in italiano:
Vorrei far ritornar per un'ora sola/ il tempo bello della contentezza/ quando noi giocavamo a "vola vola"/ e ti coprivo di baci e di carezze./ E vola vola vola
Particolarissima la situazione nell'area vestina: molti centri distanti pochi chilometri fanno un uso totalmente diverso delle vocali. Famoso il dialetto di Penne che spesso sostituisce la "e" con la "o" (es. Pònn invece di Penne); il dialetto di Loreto Aprutino, di evidente influenza francofona, utilizza la "ù" stretta (eu) (es. Lùret invece di Loreto), e alla "o" pennese sostituisce una sorta di "e" gutturale con accentazione poco forte (më' per "me"); il dialetto di Montebello di Bertona che fa largo uso di "u" sostituendola ad altre vocali (es. Abbruzzùs invece di Abruzzesi, Mundubbell invece di Montebello); il dialetto di Città Sant'Angelo che fa largo uso di "è" sostituendola ad altre vocali (es. Chi sti fè? invece di cosa stai facendo?, jè invece di io). In tale area sono ricompresi anche i paesi dell'alta valle del fiume Fino in provincia di Teramo; in particolare, la sostituzione della "e" con la "o", insieme a quella della "a" con la "e" (es.: patène invece di patate, chèse in luogo di casa), si ritrova nel dialetto di Bisenti).
L'area teramana dev'essere stata uno dei centri di irradiazione dei frangimenti vocalici, al punto che essi sono ancora riscontrabili presso la parlata delle persone anziane persino della stessa città di Teramo, e di altri centri importanti, come Giulianova: in particolare nel capoluogo le originarie ĭ ĕ ē latine hanno prodotto esiti deicisamente particolari diversi a seconda dei vocaboli: così "doménica" (lat. domĭnica) ha dato dumànëchë, ma "fréddo" (lat. frĭgidus) ha dato fråddë, cioè con un suono intermedio tra la "a" e la "o" ma più vicino alla prima, "quéllo-a" (lat. ĭllum-a) ha dato quàllë, "perché" (composto derivato dalla radice quĭd) ha dato invece pëccò, come pure "tré" (lat. trēs) suona come trò, ecc. Anche la palatalizzazione di a deve aver avuto rigine in questo territorio, risultando del tutto indipendente da quella romagnola: sempre proponendo esempi di Teramo, pare che dall'originaria ă sia derivato è (sèndë da sănctum), mentre da ā si è prodotto un suono intermedio tra la "a" e la "e" che si potrebbe rendere graficamente con æ (ad es. štrædë da strāta). Questo fenomeno nelle altre due provincie dell'Abruzzo adriatico è molto più limitato e riscontrabile ormai solo nei centri montani. Pare infatti che i frangimenti non siano mai esistiti a Pescara, Chieti e Lanciano, mentre nei due dialetti di Ortona e Vasto si sono estinti a partire dagli anni cinquanta del secolo scorso.
Caratteristici e di sorprendente originalità i dialetti di Bussi sul Tirino (Pescara) e Pratola Peligna (L'Aquila): nel primo centro, evidente l'origine spagnola della "e" di congiunzione che assume la forma di "y" (cfr. mù y ttù ovvero io e te) oltre alla trasformazione in -aunë del suffisso italiano -one (mataunë per mattone), presente pure a Pratola. Tra l'altro, la "y" di congiunzione è possibile trovarla in altri dialetti limitrofi e della Valle Peligna. A Pratola Peligna e Lettomanoppello colpisce la chiara derivazione francofona di alcuni vocaboli, come - ad esempio - per i primi tre numeri (uno, due, tre) che sembrano letti dal francese senza alcun adattamento di pronuncia (èun, dèu, tròi per un, deux, trois).
Taluni notano una somiglianza della cadenza e della parlata dialettale dell'area Peligna con quella Ascolana.
Facilmente riconoscibile è la parlata chietina, dalla caratteristica cadenza cantilenante, e dall'uso sistematico della -i finale in ogni parola seguita da un'altra inziante per consonante: C'hanni fattë? per "Che hanno fatto?". È un fenomeno pressoché sconosciuto nel resto della regione, e forse in tutto il centromeridione.
Nel dialetto di Bucchianico (Chieti), che differisce enormemente da quello di Chieti malgrado disti solo 8 km, i pronomi personali "me" e "te" diventano maje e taje; gli infiniti in -are assumono la terminazione in -è (es. fare >fè, passare >passè, cercare >circhè, ecc.).
Nel dialetto di Fara Filiorum Petri (Chieti), è da rilevare il raddoppiamento della m nelle prime persone plurali dei verbi, fenomeno sconosciuto nei centri limitrofi (c' vedémmë per "ci vediamo").
Le vocali della zona pescarese-teramana hanno un suono piuttosto aperto, che curiosiamente fa avvicinare la pronucia di tali aree simile a quella calabrese-siciliana, mentre nella provincia di Chieti hanno suono chiuso, tanto da far pensare al dialetto sardo.
Nella coniugazione dialettale di più verbi andiamo a vedere che la radice del verbo non è uguale in tutte le persone. ESEMPIO vado - vajo, andiamo - jemo. Queste sono particolarità soprattutto della zona aquilana.
In parte della provincia di Teramo, come a Montefino, molti verbi al passato remoto terminano con -ozz. Ad esempio, jozz (andò), arvinozz (ritornò).
Al di là delle influenze dovute alla comune dominazione borbonica, il dialetto di alcune zone è stato fortemente influenzato anche dalla transumanza che ha trasportato alcuni vocaboli dal tavoliere pugliese al dialetto abruzzese. Sorprendenti alcune definizioni pressoché identiche tra i dialetti dell'Alto Sangro e quelli dell'appennino dauno (es. faùgnö - dal latino favonius - usato sia a Rocca Pia (AQ) e sia a Troia (FG) per indicare il vento caldo e secco).
La recente vocazione turistica dell'Alto Sangro ha inoltre portato un massiccio afflusso turistico in tali zone proveniente dalla Campania e da Napoli in particolare. I dialetti locali - come quelli di Roccaraso e Castel di Sangro - hanno subito una forte influenza da questa pacifica "invasione", denotabile soprattutto nel lessico giovanile che a volte si tinge di note campane, distanti dal dialetto storico altosangrino.
fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Dialetti_d'Abruzzo
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