Questa ricerca non vuole giustificare le azioni del brigantaggio, molte delle quali negative, ma solo cercare di capire la motivazione che induceva semplici popolani, contadini, ex soldati borbonici, persino ex garibaldini a intraprendere questa difficile e “impopolare” vita.
In fondo, la gente del sud non ha mai accettato completamente la condanna senza appello dei briganti. Dopo l’unità d’Italia violenze e crudeltà ci sono state dall’una e dall’altra parte, non tutti i briganti erano volgari tagliagole e che c’era chi aveva, comunque un rudimentale senso di giustizia.
Il brigantaggio è stato una cronaca delle nostre regioni.
L’economia e la società meridionale ha dovuto pagare i conti delle guerre, delle lotte per la conquista e la difesa del poter dei sovrani e baroni.
Le bande guidate da popolani, da borghesi e anche da sacerdoti, e che raccolgono impiegati, soldati sbandati, contadini e pastori difendono la loro patria e la loro religione. Il motivo legittimistico è dominante e le modalità della guerriglia, capace di unire aristocratici e popolo, sono tali da richiamare alla mente l'epopea vandeana.
Il Brigantaggio, dunque, è stato un fenomeno composito, manifestazione del contrasto fra due mentalità, fra due differenti impostazioni culturali, ma soprattutto ha rappresentato l'espressione più macroscopica della reazione di una nazione intera in difesa della sua autonomia quasi millenaria e della religione perseguitata e, dunque, costituisce l'ultimo tentativo compiuto in Italia, insieme con la difesa di Roma a opera degli zuavi, per combattere la Rivoluzione con le armi
. Il brigantaggio non era solo un fenomeno del mezzogiorno ma imperversava anche in Lombardia e in Romagna. Del brigantaggio si sono interessati criminologi, politici, militari, narratori e storici. Brigante patriota e ribelle all’oppressione? A distanza di anni non è ancora possibile rispondere.
Il brigantaggio non nasce da una brutale tendenza al crimine, ma da una vera e propria disperazione ma è la protesta della miseria contro antiche e secolari ingiustizie, agli occhi dei contadini, il brigante diventava un essere speciale un paladino, un simbolo, un vendicatore dei torti da loro subiti, era colui che aveva il coraggio per ottenere quella giustizia che la legge non riusciva a dare.
Alla caduta del Regno delle due Sicilie, i poveri si erano ritrovati ancora più poveri, i vincitori avevano cominciato ha imporre tasse e la leva obbligatoria, la terra promessa, mai data, la brutale repressione, con villaggi e paesi bruciati e distrutti, legge marziale e esenzioni, dettata dalla legge Pica:
Questa legge istituiva, sotto l'egida savoiarda, tribunali di guerra per il Sud ed i soldati ebbero carta bianca, le fucilazioni, anche di vecchi, donne e bambini, divennero cosa ordinaria e non straordinaria, esasperando ancora di più la popolazione, deportazioni, l'incubo della reclusione, persecuzione della Chiesa cattolica, profanazioni dei templi, fucilazioni di massa, stupri, perfino bambine (figlie di "briganti") costretti ai ferri carcerari .
"Chi sono i Briganti?
Lo dirò io, nato e cresciuto tra essi.
Il contadino non ha casa, non ha campo, non ha vigna, non ha prato, non ha bosco, non ha armento; non possiede che un metro di terra in comune al camposanto.
Non ha letto, non ha vesti, non ha cibo d'uomo, non ha farmachi.
Tutto gli è stato rapito dal prete al giaciglio di morte o dal ladroneccio feudale o dall'usura del proprietario o dall'imposta del comune e dello stato.
Il contadino non conosce pan di grano, nè vivanda di carne, ma divora una poltiglia innominata di spelta (farro), segale omelgone, quando non si accomuni con le bestie a pascere le radici che gli dà la terra matrigna a chi l'ama.
Il contadino robusto e aitante, se non è accasciato dalle febbri dell'aria, con sedici ore di fatica, riarso dal sollione, eivolta a punta di vanga due are di terra alla profondità di quaranta centimetri e guadagna ottantacinque centesimi, beninteso nelle sole giornate di lavoro, e quando non piobe, e non nevica e non annebbia. Con questi ottanticinque centesimi vegeta esso, il vecchio padre, spesso invalido dalla fatica già passata, e senza ospizio, la madre, un paio di sorelle, la moglie e una nidiata di figli. Se gli mancano per più giorni gli ottantacinque centesimi, il contadino, non possedendo nulla, nemmeno il credito, non avendo da portare nulla all'usuraio o al monte dei pegni, allora (oh, io mentisco!) vende la merce umana.; esausto l'infame mercato, pigli il fucile e strugge, rapina, incendia, scanna, stupra, e mangia.
Dirò cosa strana: mi perdonino.
Il proletario vuol migliorare le sue condizioni nè più nè meno che noi. Questo ha atteso invano dalla stupida pretesa rivoluzione; questo attende la monarchia. In fondo nella sua idea bruta, il brigantaggio non è che il progresso, o, temperando la crudezza della parola, il desiderio del meglio. Certo, la vita è scellerata, il modo è iniquo e infame...Ma il brigantaggio non è che miseria, è miseria estrema, disperata: le avversioni del clero, e dei caldeggiatori il caduto dominio, e tutto il numeroso elenco delle volute cause originarie di questa piaga sociale sono scuse secondarie e occasionali, che ne abusano e la fanno perdurare. Si facciano i contadini proprietari. Non è cosa così difficile, ruinosa, anarchica e socialista come ne ha la parvenza. Una buona legge sul censimento, a piccoli lotti dei beni della Cassa ecclesiastica e demanio pubblico ad esclusivo vantaggio dei contadini nullatenenti, e il fucile scappa di mano al brigante...Date una moggiata al contadino e si farà scannare per voi, e difenderà la sua terra contro tutte le orde straniere e barbariche dell'Austro-Francia". F.S Sipari di Pescasseroli (Cfr. B. Croce, Storia del Regno di Napoli). Il fenomeno del brigantaggio nasce in Abruzzo fin dal 1500, con le imprese di Marco Sciarra, i fratelli Felice e Giuseppe Marinucci e Antonio La Vella, alias Scipione, la Banda degli Introdacquesi, che ebbe come rifugio ideale i fitti boschi del monte Plaia, nonché le montagne fra Introdacqua, Scanno e Frattura. I capi storici furono Giuseppe Tamburrini, alias Colaizzo, Concezio Ventresca, alias Liborio, Pasquale Fontanarosa e Pasquale Del Monaco, a Pacentro fu molto attiva la banda capeggiata da Pasquale Mancini, alias il Mercante, diventato brigante dopo essere evaso dal carcere nei primi mesi del 1861. Alla sua morte Giovanni Di Sciascio, alias Morletta, di Guardiagrele, assunse il comando della banda, chiamata poi Banda della Majella: la compagnia di briganti più organizzata e tristemente famosa dell'intero Abruzzo.
Si avvicendarono al comando vari briganti tra cui Domenico Di Sciascio, fratello di Giovanni, Salvatore Scenna, di Orsogna, e Nicola Marino, alias Occhi di uccello originario di Roccamorice, La banda fu protagonista di numerosi saccheggi nei paesi di Pretoro, Pennapiedimonte, Caramanico, Salle, Guardiagrele, Palena e Tocco da Casauria (nel 1866).
Altro componente della banda fu Angelo Camillo Colafella che l'11 gennaio del 1861 invase San Valentino, liberando dal carcere locale una quarantina di detenuti. Domenico Di Sciascio si unì successivamente a Domenico Valerio, alias Cannone, considerato il più famigerato dei briganti. La banda, con i suoi numerosi componenti, rimase attiva fino al 1868.
Infine, tra le bande più temibili e longeve (si sciolse solo nel 1871), può essere annoverata quella capeggiata da Croce di Tola, alias Crocitto, pastore di Roccaraso. Fu protagonista di numerosi misfatti ma in particolare era un abile autore di biglietti di ricatto (che ho riportato qui in calce) con i quali otteneva soldi, vestiti e generi alimentari, indispensabili al proprio sostentamento e a quello dei suoi gregari. Il 5 giugno del 1871 venne catturato vivo dal carabiniere Chiaffredo Bergia, condannato a morte per fucilazione nel 1872, pena poi convertita all'ergastolo. Questo arresto, insieme alla cattura nel 1871 di Primiano Marcucci di Campo di Giove, segna la fine del brigantaggio nella Valle Peligna. Sparacannone è stato attivo tra la zona di Penne e quella di Pescara a fine Ottocento. Fu detto brigante alquanto impropriamente, perché la sua carriera fu più simile a quella di un bandito romantico e disilluso, piuttosto che a quella di un fiero avversario di principi e baroni, organizzato come era, in una banda e dedito alla puntuale contravenzioni alle leggi. Dopo un'amara vicenda riguardante un omicidio su commissione per conto di un Arciprete di Pescara, Sparacannone, detto anche il Brigante di Penne, diede vita a una delle più avvincenti saghe banditesche dell'Area Vestina, con ampi riflessi nella cultura popolare, tanto da diventare soggetto di numerose canzoni da cantastorie.
Oltre in Abruzzo il Brigantaggio era presente anche in altre regioni d’Italia oltre al mezzogiorno ad esempio: Carmine Crocco che dalla Basilicata spinse le sue scorribande in Puglia fino in Molise; Ciro Annicchiarico detto Papa Ciro in Puglia; Antonio Gasparoni nel Lazio; Il napoletano Michele Arcangelo Pezza detto Fra Diavolo, una figura molto ambigua ma anche molto popolare perché oltre a commettere efferati delitti, combattè i francesi;
Tra i briganti non meridionali non poteva mancare Stefano Pelloni detto il Passatore attivo in Romagna datosi alla macchia, entrò a far parte di un gruppo assai variabile come consistenza e zone d'azione, del quale (come uso tra i briganti dell'epoca) egli non divenne il vero capo, ma una importantissima figura di riferimento; e addirittura il brigante del ventesimo secolo con Giuseppe Musolino, conosciuto come u rre dill'Asprumunti (il Re dell'Aspromonte), o meglio ancora come il brigante Musolino Santo Stefano in Aspromonte, Reggio Calabria che uccise sette persone, ma era incolpevole del delitto per il quale fu condannato inizialmente a 21 anni di carcere.
Storia, legenda, alla fine sarà il lettore a rendersi conto, dalle varie versioni di quello che è accaduto ed a valutare i fatti.
fonte: http://www.vivamafarka.com/forum/index.php?topic=98820.0;wap2
In fondo, la gente del sud non ha mai accettato completamente la condanna senza appello dei briganti. Dopo l’unità d’Italia violenze e crudeltà ci sono state dall’una e dall’altra parte, non tutti i briganti erano volgari tagliagole e che c’era chi aveva, comunque un rudimentale senso di giustizia.
Il brigantaggio è stato una cronaca delle nostre regioni.
L’economia e la società meridionale ha dovuto pagare i conti delle guerre, delle lotte per la conquista e la difesa del poter dei sovrani e baroni.
Le bande guidate da popolani, da borghesi e anche da sacerdoti, e che raccolgono impiegati, soldati sbandati, contadini e pastori difendono la loro patria e la loro religione. Il motivo legittimistico è dominante e le modalità della guerriglia, capace di unire aristocratici e popolo, sono tali da richiamare alla mente l'epopea vandeana.
Il Brigantaggio, dunque, è stato un fenomeno composito, manifestazione del contrasto fra due mentalità, fra due differenti impostazioni culturali, ma soprattutto ha rappresentato l'espressione più macroscopica della reazione di una nazione intera in difesa della sua autonomia quasi millenaria e della religione perseguitata e, dunque, costituisce l'ultimo tentativo compiuto in Italia, insieme con la difesa di Roma a opera degli zuavi, per combattere la Rivoluzione con le armi
. Il brigantaggio non era solo un fenomeno del mezzogiorno ma imperversava anche in Lombardia e in Romagna. Del brigantaggio si sono interessati criminologi, politici, militari, narratori e storici. Brigante patriota e ribelle all’oppressione? A distanza di anni non è ancora possibile rispondere.
Il brigantaggio non nasce da una brutale tendenza al crimine, ma da una vera e propria disperazione ma è la protesta della miseria contro antiche e secolari ingiustizie, agli occhi dei contadini, il brigante diventava un essere speciale un paladino, un simbolo, un vendicatore dei torti da loro subiti, era colui che aveva il coraggio per ottenere quella giustizia che la legge non riusciva a dare.
Alla caduta del Regno delle due Sicilie, i poveri si erano ritrovati ancora più poveri, i vincitori avevano cominciato ha imporre tasse e la leva obbligatoria, la terra promessa, mai data, la brutale repressione, con villaggi e paesi bruciati e distrutti, legge marziale e esenzioni, dettata dalla legge Pica:
Questa legge istituiva, sotto l'egida savoiarda, tribunali di guerra per il Sud ed i soldati ebbero carta bianca, le fucilazioni, anche di vecchi, donne e bambini, divennero cosa ordinaria e non straordinaria, esasperando ancora di più la popolazione, deportazioni, l'incubo della reclusione, persecuzione della Chiesa cattolica, profanazioni dei templi, fucilazioni di massa, stupri, perfino bambine (figlie di "briganti") costretti ai ferri carcerari .
"Chi sono i Briganti?
Lo dirò io, nato e cresciuto tra essi.
Il contadino non ha casa, non ha campo, non ha vigna, non ha prato, non ha bosco, non ha armento; non possiede che un metro di terra in comune al camposanto.
Non ha letto, non ha vesti, non ha cibo d'uomo, non ha farmachi.
Tutto gli è stato rapito dal prete al giaciglio di morte o dal ladroneccio feudale o dall'usura del proprietario o dall'imposta del comune e dello stato.
Il contadino non conosce pan di grano, nè vivanda di carne, ma divora una poltiglia innominata di spelta (farro), segale omelgone, quando non si accomuni con le bestie a pascere le radici che gli dà la terra matrigna a chi l'ama.
Il contadino robusto e aitante, se non è accasciato dalle febbri dell'aria, con sedici ore di fatica, riarso dal sollione, eivolta a punta di vanga due are di terra alla profondità di quaranta centimetri e guadagna ottantacinque centesimi, beninteso nelle sole giornate di lavoro, e quando non piobe, e non nevica e non annebbia. Con questi ottanticinque centesimi vegeta esso, il vecchio padre, spesso invalido dalla fatica già passata, e senza ospizio, la madre, un paio di sorelle, la moglie e una nidiata di figli. Se gli mancano per più giorni gli ottantacinque centesimi, il contadino, non possedendo nulla, nemmeno il credito, non avendo da portare nulla all'usuraio o al monte dei pegni, allora (oh, io mentisco!) vende la merce umana.; esausto l'infame mercato, pigli il fucile e strugge, rapina, incendia, scanna, stupra, e mangia.
Dirò cosa strana: mi perdonino.
Il proletario vuol migliorare le sue condizioni nè più nè meno che noi. Questo ha atteso invano dalla stupida pretesa rivoluzione; questo attende la monarchia. In fondo nella sua idea bruta, il brigantaggio non è che il progresso, o, temperando la crudezza della parola, il desiderio del meglio. Certo, la vita è scellerata, il modo è iniquo e infame...Ma il brigantaggio non è che miseria, è miseria estrema, disperata: le avversioni del clero, e dei caldeggiatori il caduto dominio, e tutto il numeroso elenco delle volute cause originarie di questa piaga sociale sono scuse secondarie e occasionali, che ne abusano e la fanno perdurare. Si facciano i contadini proprietari. Non è cosa così difficile, ruinosa, anarchica e socialista come ne ha la parvenza. Una buona legge sul censimento, a piccoli lotti dei beni della Cassa ecclesiastica e demanio pubblico ad esclusivo vantaggio dei contadini nullatenenti, e il fucile scappa di mano al brigante...Date una moggiata al contadino e si farà scannare per voi, e difenderà la sua terra contro tutte le orde straniere e barbariche dell'Austro-Francia". F.S Sipari di Pescasseroli (Cfr. B. Croce, Storia del Regno di Napoli). Il fenomeno del brigantaggio nasce in Abruzzo fin dal 1500, con le imprese di Marco Sciarra, i fratelli Felice e Giuseppe Marinucci e Antonio La Vella, alias Scipione, la Banda degli Introdacquesi, che ebbe come rifugio ideale i fitti boschi del monte Plaia, nonché le montagne fra Introdacqua, Scanno e Frattura. I capi storici furono Giuseppe Tamburrini, alias Colaizzo, Concezio Ventresca, alias Liborio, Pasquale Fontanarosa e Pasquale Del Monaco, a Pacentro fu molto attiva la banda capeggiata da Pasquale Mancini, alias il Mercante, diventato brigante dopo essere evaso dal carcere nei primi mesi del 1861. Alla sua morte Giovanni Di Sciascio, alias Morletta, di Guardiagrele, assunse il comando della banda, chiamata poi Banda della Majella: la compagnia di briganti più organizzata e tristemente famosa dell'intero Abruzzo.
Si avvicendarono al comando vari briganti tra cui Domenico Di Sciascio, fratello di Giovanni, Salvatore Scenna, di Orsogna, e Nicola Marino, alias Occhi di uccello originario di Roccamorice, La banda fu protagonista di numerosi saccheggi nei paesi di Pretoro, Pennapiedimonte, Caramanico, Salle, Guardiagrele, Palena e Tocco da Casauria (nel 1866).
Altro componente della banda fu Angelo Camillo Colafella che l'11 gennaio del 1861 invase San Valentino, liberando dal carcere locale una quarantina di detenuti. Domenico Di Sciascio si unì successivamente a Domenico Valerio, alias Cannone, considerato il più famigerato dei briganti. La banda, con i suoi numerosi componenti, rimase attiva fino al 1868.
Infine, tra le bande più temibili e longeve (si sciolse solo nel 1871), può essere annoverata quella capeggiata da Croce di Tola, alias Crocitto, pastore di Roccaraso. Fu protagonista di numerosi misfatti ma in particolare era un abile autore di biglietti di ricatto (che ho riportato qui in calce) con i quali otteneva soldi, vestiti e generi alimentari, indispensabili al proprio sostentamento e a quello dei suoi gregari. Il 5 giugno del 1871 venne catturato vivo dal carabiniere Chiaffredo Bergia, condannato a morte per fucilazione nel 1872, pena poi convertita all'ergastolo. Questo arresto, insieme alla cattura nel 1871 di Primiano Marcucci di Campo di Giove, segna la fine del brigantaggio nella Valle Peligna. Sparacannone è stato attivo tra la zona di Penne e quella di Pescara a fine Ottocento. Fu detto brigante alquanto impropriamente, perché la sua carriera fu più simile a quella di un bandito romantico e disilluso, piuttosto che a quella di un fiero avversario di principi e baroni, organizzato come era, in una banda e dedito alla puntuale contravenzioni alle leggi. Dopo un'amara vicenda riguardante un omicidio su commissione per conto di un Arciprete di Pescara, Sparacannone, detto anche il Brigante di Penne, diede vita a una delle più avvincenti saghe banditesche dell'Area Vestina, con ampi riflessi nella cultura popolare, tanto da diventare soggetto di numerose canzoni da cantastorie.
Oltre in Abruzzo il Brigantaggio era presente anche in altre regioni d’Italia oltre al mezzogiorno ad esempio: Carmine Crocco che dalla Basilicata spinse le sue scorribande in Puglia fino in Molise; Ciro Annicchiarico detto Papa Ciro in Puglia; Antonio Gasparoni nel Lazio; Il napoletano Michele Arcangelo Pezza detto Fra Diavolo, una figura molto ambigua ma anche molto popolare perché oltre a commettere efferati delitti, combattè i francesi;
Tra i briganti non meridionali non poteva mancare Stefano Pelloni detto il Passatore attivo in Romagna datosi alla macchia, entrò a far parte di un gruppo assai variabile come consistenza e zone d'azione, del quale (come uso tra i briganti dell'epoca) egli non divenne il vero capo, ma una importantissima figura di riferimento; e addirittura il brigante del ventesimo secolo con Giuseppe Musolino, conosciuto come u rre dill'Asprumunti (il Re dell'Aspromonte), o meglio ancora come il brigante Musolino Santo Stefano in Aspromonte, Reggio Calabria che uccise sette persone, ma era incolpevole del delitto per il quale fu condannato inizialmente a 21 anni di carcere.
Storia, legenda, alla fine sarà il lettore a rendersi conto, dalle varie versioni di quello che è accaduto ed a valutare i fatti.
fonte: http://www.vivamafarka.com/forum/index.php?topic=98820.0;wap2
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