Il velo è strappato. Stavolta, però, è
diverso. Lo squarcio è grande. Chiunque può infilarci la testa e
guardare - finalmente - cosa si nasconde dall’altra parte. Nomi, date,
luoghi, circostanze. E storie. Soprattutto storie. Quelle cancellate da
un’oleografia sulla Seconda guerra mondiale troppe volte spacciata per
verità rivelata; quelle negate al barbaro grido di Brenno “guai ai vinti”;
quelle sottratte all’ipocrisia e alla falsità di chi, diviso il mondo in buoni
e cattivi, ha condannato all’oblio decine di migliaia di vittime e loro carnefici.
Storie di italiani offesi, violati
e uccisi che adesso rivivono, raccolte tutte insieme, sistematizzate nei
loro drammi e miserie, nelle pagine dense e a tratti struggenti di Gigi Di
Fiore, inviato de “Il Mattino”, che ha scritto una “Controstoria della Liberazione.
Le stragi e i crimini dimenticati
degli Alleati nell’Italia del sud”
(Rizzoli), destinata a far discutere. Di Fiore non teme le ombre. Anzi, le
descrive minuziosamente, scoprendo il volto nero degli angloamericani
sotto la maschera dei liberatori: occupanti e conquistatori. Protagonisti di crimini
efferati. Dall’alleanza con la mafia in Sicilia alle fucilazioni a sangue freddo di soldati italiani arresisi; dai campi di concentramento allestiti dagli Alleati alle umiliazioni
patite dai nostri
soldati che, schieratisi al
fianco dei vecchi nemici,
furono considerati combattenti di serie B; dai bombardamenti indiscriminati
sulle città
del Sud ad armistizio firmato che provocarono
stragi di innocenti alle donne stuprate: le tristemente note “marocchinate”, prede di guerra dei soldati “liberatori”.
E poi Napoli, la sua
miseria, la sua borsa nera, la città stracciona con madri e figlie che si danno per fame, la camorra in affari con i nuovi padroni: gli angloamericani, ultimi di una lunga
serie. Finanche Pietro Secchia,
importante dirigente del Pci, descrisse così le condizioni della città: «Si vedeva abbastanza evidente che
questo popolo era sceso al gradino infimo della propria dignità. Nessuna
meraviglia quindi ne sortiva quando veniva fermato un soldato angloamericano e richiesto di procurargli vino e signorine». La Patria era morta davvero. E lo era
ancora di più in quel Mezzogiorno che già ottantatré anni prima aveva
dovuto subire altre angherie, altre violenze, altre invasioni. Risorgimentali
le prime, “liberatrici” le seconde. Un Mezzogiorno «dove i liberati
- scrive Di Fiore - furono violati dai liberatori, in una mistificazione
dei ruoli tra aguzzini santificati e vittime zittite». L’autore non dimentica la crudeltà,
le condizioni orrende, i soprusi subiti dagli italiani, civili e militari, che
dissero no ai nemici diventati alleati in una notte di settembre e per
questo si ritrovarono nei campi di Padula, Afragola, Aversa, Taranto,
Coltano e altri ancora. Gli “inferni neri”, dove civili e sacerdoti, ex politici
e burocrati fascisti, funzionari e semplici soldati della Rsi intrecciarono
le loro vicende, miserie umane e piccoli eroismi. Emergono così, tra
tante, le figure dell’armatore napoletano Achille Lauro o di Ezio Garibaldi,
nipote di Giuseppe, o ancora dello scrittore Ardengo Soffici. Ad Afragola,
ricorda Di Fiore, i carcerieri inglesi «saltavano la distribuzione dei pasti o ricorrevano a percosse improvvise. Metodi spicci per tenere
soggiogati i detenuti e costringerli ad ammettere colpe tutte da dimostrare ». Sistemi che ricordavano le
tristi pratiche dell’estorsione delle
confessioni tanto in voga nella polizia politica sovietica. Di Fiore riannoda i fili di una storia
spezzata, tirandola fuori da quell’“armadio della vergogna” nel quale era stata confinata senza pietà dai celebranti di un’ortodossia che
non ammetteva eresie. Il merito di questa “Controstoria della Liberazione”
è proprio quello di far emergere dalle viscere del nostro Meridione
violentato la verità di fatti che hanno profondamente segnato le popolazioni;
le storie di decine di migliaia di famiglie che, dopo aver subito la violenza, sono state costrette al silenzio dalla paura, dalla vergogna
e dalla ragion di Stato del secondo dopoguerra. Il calvario di una
Nazione nella polvere, lacerata tra due eserciti occupanti. Ricordare è
un dovere. Perché l’infamia di chi fu padrone in casa d’altri non cada in
prescrizione.
Fonte: Roma del 4 maggio pag.11
Di Vincenzo Nardiello