mercoledì 16 novembre 2011

LA SITUAZIONE MERIDIONALE SOLO QUESTIONE ?!

“Quella dei Savoia - scrisse Spadolini- era una dinastia ambiziosa ed intraprendente all’estero, retrograda e conservatrice all’interno. Più astuta che geniale. Più fortunata che gloriosa. Più abile che audace. Una sola meta: estendere lo Stato sabaudo verso est e cioè verso le pingui pianure lombarde.Il Risorgimento era stato troncato a mezzo delle sue aspirazioni…..i Savoia sono rimasti gli stessi, utilitari ed esclusivisti piemontesi di prima e hanno tentato di piemontizzare l’Italia, appoggiandosi alla sua ottusa e superba consorteria militare e accaparrandosi con concessioni e compromessi i diversi ed eterogenei partiti politici, espressioni più di clientele che di popolo”

Prima di parlare di economia e di dare i numeri è bene spiegare alcuni concetti basilari e vedere perché gli ex cittadini del Regno delle due Sicilie imputano ai Piemontesi la loro rovina economica. Partiamo dal concetto di moneta, perché poi tutti i problemi finiscono li. «E' moneta tutto ciò che viene comunemente accettato, in un certo ambito geografico, come mezzo di scambio e di pagamento e come unità di misura del valore dei beni».

Questo il concetto generale in vigore da secoli e assolutamente tranquillo se non fosse che ogni potente di passaggio metteva di volta in volta il suo faccione sopra la moneta, sua e di casa d’altri.

La maniera più semplice di fare una moneta, valida ed accettabile, è comunque quella di coniarla in Oro (ricchi) o argento per i tagli minori e rame per i centesimi (per i poveri). Questo principio generale venne seguito, ma di fatto presentava tutta una serie di handicap che andavano dal titolo (lega), alla pericolosità del trasporto e detenzione e perfino ai limatori che ne alleggerivano il peso. Garanzie: con questo metodo, di fatto, la moneta era universale, veniva accettata in capo al mondo.

Tornando al concetto “…mezzo di scambio e di pagamento e come unità di misura del valore dei beni” Questa funzione può in effetti essere fatta da tanti altri mezzi e la storia ci insegna che qualsiasi oggetto raro e controllato dal potere può fungere da moneta. Fu così per il sale, le pellicce nei paesi freddi, il pesce secco nell’artico, le conchiglie in Africa etc.

Che questa funzione la potesse fare anche un altro mezzo era noto da secoli, da quando era stata inventata la cambiale e gli altri titoli di credito che non sono poi altro che gli assegni moderni (nel caso della cambiale gli assegni postdatati) e la cartamoneta. Per i tagli grossi era la soluzione (l’inflazione c’era anche allora e c’era bisogno sempre più spesso di nuovi alti tagli). Chi emetteva carta moneta (banche, ma banche di fiducia dello Stato) giurava e spergiurava di avere l’equivalente in oro monetizzabile in qualsiasi momento. La promessa era stata talmente convincente che a scoprire le carte, come si dice a Poker, veniva un 10% della gente; ergo se ho cento in oro e viene il 10 %, posso emettere 1000 e tenere solo oro per il 10% ce è 100.

Valore della produzione agricola 1861 suddivisa per territori in % Fonte: Svimez*

La pensata deve aver fruttato molto al suo ideatore, ma non teneva conto che il panico in certi momenti fa brutti scherzi. In tono minore e leggermente diverso è successo anche recentemente in Argentina dove i risparmiatori si presentarono a ritirare i sudati soldi, pensando che la banca li avesse tutti in cassaforte: esempio improprio ma non del tutto con una circolazione a copertura aurea, perchè se la banca non fa circolare la moneta con che cosa paga poi gli interessi ?.

Panico e disastro economico.

I piemontesi avevano deciso di cominciare ad emettere carta moneta già all’indomani della sconfitta di Novara del 1849 con un rapporto di uno a tre (una lira oro contro tre ritirate) con la Banca Nazionale degli Stati Sardi unico istituto autorizzato. La Banca Nazionale degli Stati Sardi, altri non era che la Banca di Genova (http://www.bancaditalia.it/interventi/intaltri_mdir/20070925_finocchiaro.pdf ), già avvezza a simili operazioni. Con la legge 9/9/1850 si decreta l’emissione di Carta moneta e uno dei primi valori è un 1000 lire del 1851. Vengono poi le 500 lire, le 250 e le 100 (1855). Questo è l’anno che Cavour sopprime gli ordini religiosi e li espropria. Due anni dopo è la volta del 50 lire e scendendo dopo l’unificazione eravamo arrivati alla lira. Coinvolti anche tutti gli altri istituti degli stati testè conquistati.

Banca Romana (1870), Banco di Napoli, Banco di Sicilia (per loro si trattava di una novità, oltre le fedi di credito), Banca Nazionale Toscana e Banca Toscana di Credito. La banca prestava soldi allo stato per le opere pubbliche, gli stipendi, per le guerre e per quant’altro servisse. Al Piemonte di Cavour ne servivano veramente tanti di soldi e l’immissione di tali ingenti somme sul mercato era anche perturbante, se non correttamente investite (ritorno economico e fiscale). La grande finanza era (ed è) convinta che i prestiti ai governi ed alle grandi società, producono rendite maggiori e danno più solide garanzie contro l'insolvenza, rispetto ai prestiti erogati al singolo.
Piemonte Continentale 18,2
Lombardia 15,3
Veneto 9,5
Parma e Piacenza, Reggio, Modena, 6,6
Stato Pontificio 9,3
Toscana 8,8
Due Sicilie –continente 23,6
Sicilia 7
Sardegna 1,7
Italia 100


Nel 1865 l'Italia, la Francia, la Svizzera, il Belgio e la Grecia, al fine di agevolare gli scambi, crearono l'Unione Monetaria Latina. Le monete d'oro e d'argento di questi paesi avevano lo stesso peso, diametro e percentuale di metallo prezioso e potevano quindi circolare liberamente in tutti gli stati membri, proprio come l'Euro odierno. Le monete avevano le seguenti caratteristiche: es. le 5 lire d’argento in lega al 900/1000 pesavano 25 grammo le 10 lire d’oro sempre in lega 900 gr 3,226 analogamente le 100 lire 32,26 gr. Aderirono poi formalmente all'Unione anche la Spagna, Romania, Austria, Bulgaria, Venezuela, Serbia, Montenegro, S. Marino e lo Stato della Chiesa.

Parentesi, all’incirca la stessa cosa stava accadendo negli Usa, usciti da una guerra civile, dove enormi operazioni speculative su terreni, merci, ferrovie, furono finanziate da una molteplicità di banche emettitrici, che nascevano e fallivano con rapidità sorprendente. Nel biennio 1873-74 chiusero 98 banche; 600 fallirono nel 1892/3. Fra il 1907 e il 1908 ne scomparvero 246. Lo Stato federale riuscì a garantire la convertibilità in oro solo nel 1879. Ricordiamo che nel 1971 Nixon pose fine alla convertibilità del dollaro.

Veniamo quindi al paese dei Borboni.


I dati che circolano su questa o quella economia, su questo o quel deficit, sono i più vari e strampalati. In una epoca in cui non esisteva una statistica ufficiale, la stessa previsione di bilancio era un terno al lotto. Sparare cifre la cui veridicità resta dubbia e di parte non mi sembrava utile e necessario. Riassumo quindi solo alcuni numeri indicativi per avere un quadro generale della situazione.

Il primo abbozzo di censimento venne organizzato nel 1861. All’epoca l’italia contava circa 22 milioni di cittadini provenienti per 9 milioni dalle Due Sicilie, 5 dal Piemonte e 8 dagli altri Staterelli annessi (3,2 Lombardia, 4 Emilia Romagna e Toscana, mancavano ancora le tre Venezie e il Lazio per circa 3 milioni di cittadini).

La mortalità infantile era del 31%° e il prodotto interno lordo era partecipato per il 54 % dall’agricoltura, per il 19% dall’industria e per il 27% dal terziario e dalla pubblica amministrazione (6%). Su una popolazione attiva del 60% (dato nazionale*: c’erano molti giovani) il 70% era dedita alla agricoltura (10,7 milioni) il 18% all’industria (2,8 milioni) e il resto nei servizi. Per quanto riguarda il territorio continentale del regno borbonico, nel 1860 gli addetti alle grandi industrie erano 210.000 in quasi 5.000 opifici e costituivano circa il 7% della popolazione attiva (dato non completamente verificabile e inferiore comunque a quello medio nazionale).

Il reddito pro-capite era pressochè uguale a quello medio italiano.

La sostituzione monetaria comportò oltre un anno di interregno, durante il quale si doveva decidere sulla forma amministrativa dello stato (decentrato -non federale o accentrato, ma passò questo) e della politica fiscale per pagare gli ingenti debiti che erano stati fatti per la guerra (1859 263 milioni + 80 ai francesi) che furono coperti provvisoriamente con prestiti contratti anche nelle province di nuova acquisizione come nel Sud.

Dal 1859 al 1861 si calcola che il disavanzo raggiungesse i 1000 milioni di lire piemontesi.

Una ripartizione (ipotetica) ora del debito complessivo unitario vedeva Il sud accollarsi quasi 1/5 del totale. Divisione strana, perché lo stato era centralizzato e simile divisione avrebbe avuto valore solo se a livello locale le tasse pagate fossero state compensate da un minor intervento statale (che peraltro non poteva esimersi dalle spese correnti -stipendi-che erano il grosso. Ciò equivarrebbe ad annullare ogni opera pubblica). Per pareggiare il bilancio si cominciò a vendere tutto quello che era demaniale o di proprietà pubblica (ex investimenti borbonici) e religioso. Ciò nonostante gli interessi del Debito Pubblico fino al 1866 continuarono a salire (fino a 300 milioni).

In breve il debito pubblico raddoppiò, poiché lo stato faceva debiti per pagare interessi.

La lira si era svincolata dall’oro e lo stato nel 1866 con una nuova guerra alle porte era sull’orlo del fallimento, neanche la famigerata tassa sul macinato avrebbe risollevato più le sorti negli anni successivi. Fu in questo momento, col corso forzoso a neanche un anno dalla firma della unione Monetaria, che ci fu la fuga dalla cartamoneta e la tesaurizzazione di quella metallica.

Iniziava ora si la lunga fase della emigrazione che raggiungerà punte drammatiche verso la fine del secolo.

Per riportare un pò d’ordine nella circolazione monetaria nel 1874 fu poi costituito il Consorzio Obbligatorio degli istituti di emissione. A ciascuna delle sei banche autorizzate all'emissione venivano imposti un tetto massimo di banconote che potevano essere emesse e gli scarti massimi che si consentivano in rapporto alle riserve in metalli o valute pregiate. In questo modo, le banche conservavano la loro autonomia di enti privati, ma venivano sottoposti al controllo e ispezione del Ministro dell'Industria e del Commercio.

Era il preludio alla creazione della Banca d’Italia che vedrà la luce però solo 15 anni dopo.

LE MONETE CIRCOLANTI A NAPOLI: Erano d'oro: lo Zecchino da due Ducati, la doppia da quattro Ducati e l'oncia da sei Ducati. Ferdinando II coniò un pezzo d'oro da tre Ducati, una quintupla da quindici Ducati ed una decupla del valore di trenta Ducati. Tra le monete d'argento aveva limitata circolazione il Ducato da cento Grana; la piastra da 120 Grana era la più diffusa. Ferdinando IV, tra il 1784 e 1785 aveva fatto coniare anche il mezzo Ducato d'argento da 50 Grana, ma era più diffusa la mezza piastra d'argento da 60 Grana. Vi erano poi il Tarì da venti Grana, il Carlino da dieci Grana ed il mezzo Carlino da cinque Grana. Tra le monete di rame, invece, la Pubblica da tre Tornesi, il Grano da due Tornesi, il Tornese ed il Tornese e mezzo o nove Cavalli, il tre Cavalli o mezzo Tornese. Vi erano anche pezzi da 8, 10, 6, 5 e 4 Tornesi, sempre in rame e sempre del periodo di Ferdinando IV.

L'unificazione del sistema monetario italiano avvenne in base alla legge del 24/8/1862. Fu una specie di corsa contro il tempo: nel luglio (Regio Decreto del 17 luglio 1861, n. 452 ) fu scelta l’impronta da coniare; nel marzo 1862 venne stabilito il valore aureo della nuova lira (0,29 grammi, pari a 4,5 grammi d’argento); nel maggio successivo furono fissati i rapporti di cambio con le valute destinate a sparire. Una lira piemontese corrispondeva a una lira italiana, mentre la lira austriaca venne cambiata a 0,87 lire italiane e una lira toscana a 0,84; per uno scudo pontificio, invece, si ottenevano 5,38 lire. sempre il catalogo poi dice che 1 ducato napoletano valeva Lire italiane 4,25 circa (prendere o lasciare).


Nella seconda metà del 1862 le tre zecche italiane, a Napoli, Milano e Torino (Roma era ancora sotto il Papa) cominciarono a coniare. Furono emessi 150 milioni di lire in monete d’oro e d’argento, 36 milioni in monete bronzee.

In oro furono autorizzati i tagli da “lire” 100, 50, 20, 10 e 5 (tutti emessi al titolo di 900 millesimi); in argento quelli da “lire” 5, 2, 1 e da “centesimi” 50 e 20; in bronzo i pezzi da “centesimi” 10, 5, 2 e 1.
Fra i nominali in argento solo quello da “lire” 5 venne coniato al titolo di 900 millesimi, mentre per gli altri fu stabilito un fino di 835 millesimi. La lega delle monete in bronzo era fissata in 960 millesimi di rame e 40 millesimi di stagno. Il rapporto tra i due metalli nobili oro/argento restava fissato, secondo la tradizione franco-piemontese, in 1 a 15,50. La difficoltà di avere sempre oro e argento in proporzioni fisse (1/15) metteva in difficoltà da sempre il conio di monete.

Anche per questa nasce l’Unione Monetaria Latina, tipo cassa di compensazione.

Gli anni 70 dell'ottocento distruggeranno il sogno dell’"euro" (non solo in Italia) e la copertura “fittizia” in oro cadrà definitivamente anni dopo con la grande guerra.

L'oro si considera tanto stabile che, anche alle quotazioni odierne 1gr = 12,35 euro, le 10 lire oro italiane del 1862 del peso di 3,226 grammi conservano il loro valore anche oggi pari a 39,84 Euro, idem per il ducato napoletano che valeva 4,25 lire circa (3,984 euro per lira) e quindi 16,94 euro per un ducato. Il calcolo è stato effettuato a $ quotato a 1.25 e a titolo aureo costante. Quotazione oro 440 $ per oncia (gr 28,35)

Secondo «La scienza delle finanze» di Saverio Nitti la moneta circolante nelle Due Sicilie all’epoca della unificazione era pari a 443,2 milioni di lire (stima), risultante oltre il doppio di tutte le altre monete circolanti nella penisola italiana. Se calcoliamo che il Lombardo Veneto era magistralmente governato dagli Austriaci (l’attivo di bilancio era il più alto) la circolazione delle Due Sicilie appare eccessiva per altre valutazioni. La tabella sottostante costruita con stime va presa col beneficio d'inventario.

Il ritiro del circolante napoletano incontrò grosse difficoltà e secondo alcuni venne tesaurizzato in una percentuale alta, percentuale che secondo alcune fonti sta sotto il 50%.

Il debito pubblico era comunque più basso, 1/10, di quello piemontese.



Regioni

Riserve Auree in mil.

moneta ritirata in mil.

abitanti mil.

disponibilità a testa

Due Sicilie


443**

457

9,05

50,5 lire

Lombardia 8,1 112
3,15

35,5

Ducati Pr-Mo 1,8 38
Romagna
2,1
18

Piemonte 27 176 5 35
Toscana 85,2 73 1,9
38,4

Ex papato

55,3


1,35


Venezie*

12,7


2,5


Roma Lazio 1870 35,3 350 mila
Totali
668,4


25,4




Dalle cifre sopra esposte, se reali, si può notare che ad esclusione di Toscana e Due Sicilie il rapporto fra Riserve e circolante era già andato oltre l’uno a tre. Si nota anche che il dato delle due Sicilie (incompleto) dà una disponibilità a testa più alta d’Italia !!!.

**Con una circolazione a metallo nobile la riserva non esisteva fisicamente se non per quella parte non coperta (aggio). Il dato delle riserve del Lazio è alto perché copriva anche la circolazione monetaria di Romagna, Marche e Umbria, perse nel 1860, per circa 3 milioni di abitanti , non si conosce il circolante. * Il dato delle Venezie comprende la Venezia Tridentina entrata a far parte della nazione italiana solo nel 1918. I dati al 1861, fuori dal censimento italiano, sono stimati.

Da considerare che quando è stata ritirata la lira a favore dell'Euro 2 anni fa il circolante a disposizione era poco più di 2 milioni a testa, in presenza di altri strumenti monetari sostitutivi come gli assegni, carte di credito, bancomat etc. Si stima che su 125.000 miliardi di lire circa un 10% non rientrerà più anche in tempi successivi per cause varie (collezionismo, distruzione o smarrimento).

fonte:http://digilander.libero.it/fiammecremisi/approfondimenti/questionemeridionale1.htm

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