martedì 30 novembre 2010

La storia maestra di vita: raccontiamola giusta

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Paolo GRANZOTTO


La storia maestra di vita: raccontiamola giusta

tratto da: Il Giornale, 13.07.2004.


Sempre più di frequente compaiono su questa pagina lettere di lettori revisionisti, mi riferisco ad esempio a quella di Amedeo Montemagni o di Francesco Agnoli, senza contare che lei, dottor Granzotto, fa da sempre del revisionismo sul Risorgimento, la Repubblica partenopea, il Brigantaggio eccetera. Cos'è, "il Giornale" si pone come l'avanguardia di una nuova tendenza storiografica? E pensate di avere un seguito?

Tommaso Rivolta Milano

Non dimentichi, caro Rivolta, che "il Giornale" è stato fondato da un revisionista massimo, Indro Montanelli, incessantemente attaccato dalla congregazione degli storici in quanto, appunto, revisionista e, peccato ancor più grave, non appartenente alla congregazione medesima. Però non creda, lungi dall'essere una privativa del "Giornale" il revisionismo è un orientamento universale e avvertibile un po' ovunque si parli e si scriva di storia e il sistematico smantellamento, picconata dopo picconata, delle varie "vulgate" manda letteralmente fuori dai gangheri coloro i quali, chissà perché, si sono eletti a sacerdoti della Storia, gli unici ad avere il diritto di maneggiarla e di riferirne. Sono in larghissima parte gli accademici, autori di testi scritti con linguaggio da iniziati e disseminati di quelle che Benedetto Croce chiamava «cacchette di mosche», le note. Le quali vengono difese a spada tratta rappresentando, dicono, la «traccia» - un po' come i sassolini di Pollicino, per intenderci - che lascia uno storico vero, uno storico a denominazione di origine controllata. Per dirla in parole povere, la congregazione scrive per i propri membri rifiutando l'idea di trasmettere al lettore comune la sua presunta scienza che deve invece restare una faccenda esoterica, per pochi intimi. Guai, quindi, se un laico s'azzarda a scrivere di storia. Doppi guai se scrivendone si mette a fare del revisionismo contestando quella che per loro è, semplicemente, verità di fede. Mi dica lei, caro Rivolta, se è il modo di ragionare.

Noi siamo un po' provinciali e riteniamo che il revisionismo si riferisca esclusivamente a cose come la Resistenza o il Brigantaggio, ma non è così. La necessità di riesaminare una storia scritta massimamante sotto l'influenza della Rivoluzione francese e da allora considerata «canonica» (o una storia, per restare a casa nostra, scritta dagli storici risorgimentali e quindi tendente a magnificare una causa criminalizzando chi vi si oppose) è sentita ovunque, in America come in Francia, in Germania come in Ispagna. Perfino uno dei dogmi più rispettati, il Medioevo quale epoca di prevaricazione, violenza e sopruso, è stato passato al vaglio dell'analisi revisionista. Un recente libro di Susan Reynolds, professore emerito a Oxford, "Feudi e Vassalli" (che oltre a essere monumentale è anche di faticosa lettura, tuttavia così interessante da indurmi a stringere i denti e proseguire), ridimensiona fortemente l'idea elaborata nel diciottesimo e diciannovesimo secolo di un Medioevo dominato da baroni e cavalieri turbolenti che si facevano la guerra e tiranneggiavano dai loro castelli contadini disgraziati. Una visione, sostiene Reynolds, «associata ai miti delle origini nazionali, in conseguenza delle invasioni barbariche, per creare un paradigma talmente affascinante, flessibile e avvincente, da essere in grado di assorbire secoli di revisioni, adattamenti ed elaborazioni, senza perdere la propria fisionomia». Un mito, insomma, che apparendo logico ha distorto la visione storica di quell'evo alimentando - basti pensare a Marx - congetture che non potevano avere basi solidissime. Morale? Se è vero, come si afferma, che la storia è maestra di vita, allora diventa un dovere raccontarla giusta.

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