sabato 23 marzo 2013

Donne in rivolta nel profondo Sud, la dignità offesa delle brigantesse









La tragedia dell'insurrezione contadina che infuriò dopo l'Unità d'Italia




Da qualche anno è emersa una letteratura che mira alla rivalutazione di quello che fu il brigantaggio meridionale dopo l'Unità.

I briganti erano guerriglieri contro l'«invasione piemontese» o, come sono stati raccontati, feroci malfattori?


C'è la tendenza da parte di studiosi e scrittori, per la verità soprattutto di destra, a considerarli partigiani combattenti per la libertà. Sarebbe però un errore non riflettere sulle cause sociali e politiche del fenomeno e sugli eccessi della repressione, che fu feroce, spietata e in certi casi disumana. Lo Stato unitario appena nato si considerava minacciato e ciò spiega, ma non giustifica, le sanguinose rappresaglie, come quella del 14 agosto 1861 a Pontelandolfo.

Il centocinquantesimo anniversario dell'Unità d'Italia va celebrato anche come un'occasione per ripensare agli aspetti del Risorgimento non soltanto positivi. È quello che riesce a fare, sia pure con qualche concessione a una supervalutazione, il volume Il canto delle pietre (Luigi Pellegrini editore), che comprende l'introduzione di Isabella Rauti, il componimento poetico Cantos di Pierfranco Bruni, che si ispira alla vicenda brigantesca, e i saggi di Gerardo Picardo, Neria De Giovanni, Marilena Cavallo e Micol Bruni.

Picardo ricostruisce le storie e i personaggi delle brigantesse. Queste donne, definite nei verbali di polizia, negli atti dei processi e nelle cronache giornalistiche del tempo «drude», termine spregiativo che le presenta come dedite al malaffare, negando i loro sentimenti di mogli, amanti, figlie, sorelle, sono oggetto di denigrazione perché partecipi della ribellione del mondo contadino: esse condividono non solo il destino dei loro uomini, ma gareggiano in ardimento con i maschi, impugnando il fucile, la «scoppetta» e indossando abiti maschili.



Due brigantesse lucane appartenenti alla banda di Carmine Donatelli, detto Crocco
Il saggio di Picardo è ben documentato e percorso da simpatia e talvolta da ammirazione per le brigantesse, cui riconosce quella dignità che è stata negata perché esse rappresentavano un aspetto della femminilità inaccettabile per la morale tradizionale. Con queste donne - Maria Capitanio e Marianna Oliviero, citate da Neria De Giovanni, o quelle descritte da Picardo, che ricostruisce le vicende umane di Michelina De Cesare, la compagna del brigante Francesco Guerra, e di Filomena Pennacchio, definita «regina delle selve», che fu amata dal famoso brigante Carmine Crocco, fino a Maria Lucia Di Nella e tante altre - si entra nell'atmosfera dell'epoca e si capiscono gli aspetti umani della rivolta rurale. Il rapporto tra il mondo contadino e i briganti - giustamente Marilena Cavallo cita a tal proposito Carlo Levi - è esaminato anche in riferimento alla posizione assunta dai signorotti, che finirono per avvantaggiarsi del tramonto del regno borbonico facendo il doppio gioco e impadronendosi dei terreni demaniali.

Riconoscere oggi queste realtà non significa giudicare negativamente il processo storico che portò all'Unità, ma capire a quale prezzo nel Sud esso è avvenuto. I briganti non erano eroi romantici, furono spesso brutali assassini. Erano tuttavia il prodotto di un dramma sociale contrassegnato dall'odio di classe e dal rifiuto di riconoscere le ragioni profonde della loro rivolta: un rifiuto che è all'origine della questione meridionale.

Giovanni Russo

fonte:http://www.corriere.it/unita-italia-150/recensioni/11_agosto_31/picardo-il-canto-delle-pietre_8dfab4d8-d3c0-11e0-85ce-5b24304f1c1c.shtml

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